Dal Vivo Volume 3 - Tour Acustico
rassegna stampa


Le meraviglie acustiche di Fossati
«Dal vivo-volume 3», il nuovo disco del cantautore genovese con 14 successi
di Andrea Scanzi

Il primo problema che si incontra nel parlare di questo live di Ivano Fossati, oggi in uscita per la Sony, risiede nell'identificazione del titolo. Le note stampa e la copertina strillano un Dal vivo-Volume 3, mentre la costola dà risalto alla dicitura Tour acustico. Più didascalico il secondo, più significativo il primo, che si ricollega esplicitamente ai due live del `93. E qui arriva l'altro problema. Il difficile, per il cantautore genovese, era incidere un live che non sfigurasse a contatto con i due predecessori, unanimemente lodati, Buontempo e Carte da decifrare. La scommessa, ambiziosa, è stata vinta. Dal Vivo - Volume 3 (o Tour acustico, il dilemma pare insolubile) restituisce perfettamente quello strano, antico incanto che si respirava a teatro, di fronte a uno spettacolo che non doveva neanche nascere.
Tutto è dipeso dalla prima tournèe seguita a Lampo viaggiatore, l'ultimo disco in studio di Fossati. Quel tour, elettrico, non soddisfò pienamente l'artista. Da qui l'idea di tornare subito sul palco, cosa che uno come Fossati di per sé non ama moltissimo, e di tornarci in maniera diversa. Con gli arrangiamenti ridotti all'essenziale, sostanzialmente acustici, ma -in spregio alle regole- consentendo qua e là incursioni di nobile «modernariato elettrico», come l'organo Hammond o il piano Fender.
Poca cosa, comunque, perché di questo tour -e di questo disco- colpiscono anzitutto le mandole, le ruote di bicicletta e i bicchieri di cristallo a scandire il tempo, gli xilofoni,il clarinetto, il contrabbasso, le chitarre di Galardini (straordinario il livello dei musicisti, ottimi produzione e arrangiamenti di Cantarelli).
Lo spettacolo durava più di due ore, fare un altro doppio live non è sembrato il caso e per questo si è optato per una scaletta mobile, non rispettosa dell'ordine con cui venivano eseguiti i brani dal vivo, per un totale di 14 canzoni e una durata di 65 minuti. Ovvio che qualche brano non abbia trovato spazio, e spiace per Vola, La musica che gira intorno, La casa. Ciò che più conta, però, è la  restituzione di quell'incanto intatto. Nulla da dire: quello era un gran bel concerto, questo è un gran bel disco. Tra i migliori -e pure il mercato italiano abbonda e deborda, di live- ascoltati in questi anni.
L'apice è Smisurata preghiera, il brano scritto nel `96 con De André, mai inciso in precedenza da Fossati.
Riuscita anche l'altra rarità del disco, Oh che sarà, tradotta in origine (da Chico Buarque) per la Mannoia.
Ma è tutto il disco a volare alto, dalle nuove (ma già «classiche») C'è tempo e Il bacio sulla bocca, alle note Una notte in Italia, Mio fratello che guardi il mondo, La pianta deltè, I Treni a vapore. Giusto donare notorietà a L'angelo e la pazienza, così come Notturno delle tre (Gaber stravedeva per questo brano).
Incantevole la versione de L'uomo coi capelli da ragazzo, all'altezza Pane e coraggio e Cartolina.
Chiusura recitata con la traduzione de Il disertore di Boris Vian. Ottimo disco, niente da dire. Se è vero che i live chiudono una fase e ne aprono un'altra, c'è curiosità per il futuro. E riconoscenza, per questo presente di note essenziali e preziose.
(da Il Manifesto, 15 ottobre 2004)



Fossati: perdete più tempo scoprirete il segreto della vita
L'INTERVISTA Un album dal vivo per raccontare un tour in tempi difficili
di Renato Tortarolo

La leggerezza come cura dell'anima. Canzoni impastate d'amore e lunghe attese, frontiere sbarrate e frontiere sfondate, notti italiane che respirano il futuro e disertori che rifiutano di partire per la guerra.
Una grande passion
e civile, senza proclami né furberie, anima le 14 canzoni di "Ivano Fossati dal vivo volume 3", frutto di un lungo tour acustico che nei mesi scorsi ha valicato i teatri italiani, lasciando fuori, anche solo per una sera, l'angoscia della cronaca.
Eppure Fossati non esclude alcun tipo d'impegno, non nel senso di una ricerca privata, e solo pubblica in dischi e concerti, della comprensione. Un esercizio che il cantautore genovese pratica da almeno vent'anni, scegliendo sempre, a suo rischio e pericolo, tempi che sono più della campagna e dell'ozio che delle città e della televisione.
Fossati, si può fare davvero ciò che piace?
«Sì, con fatica e lucidità, perché ciò che guadagni in concentrazione finisci per perderlo in presenza e popolarità. Ma c'è sempre qualcosa che va sacrificato».
Qual è lo spirito di questo album?
«Ho la sensazione che le canzoni siano legate: non per un fatto musicale, che interesserebbe pochi, ma dal punto di vista del pensiero. Sono state scritte in un lungo arco di tempo ma, tutto sommato, raccontano la stessa storia, un'unica visione».
E come è possibile?
«Perché le canzoni sono fatte così: vengono fuori spontaneamente, le storie prendono forma e un giorno l'autore si rende conto di aver raccontato qualcosa che aveva un senso».
Pensa sempre che cantare sia un problema morale, con quello che succede oggi?
«Sì, anche se appartengo al mondo antico della rappresentazione, salendo sul palco a volte mi sento fuori posto e fuori tempo. Con quello che succede nel mondo, suscitare entusiasmi dovrebbe porre qualche piccolo problema».
Lei come lo ha risolto?
«Cercando di fare bene il mio mestiere, di non cavalcare mai l'onda delle emozioni e cantando cose scritte con asciutezza, senza cercare di sovraccaricarle di significati portati dalla passione o dagli avvenimenti».
Che tempi viviamo?
«Confusi e difficili, non sta a me dirlo ma speriamo di uscire con forza ed energia da questo stato di confusione, ch'è una questione planetaria e non italiana o della nostra piccola società».
In tour e ora nell'album, lei ha inserito canzoni sull'immigrazione o le diveristà come "Pane e coraggio", "Mio fratello che guardi il mondo", "Il disertore di Vian...
«Perché sono canzoni da tenersi vicine in momenti come questi. Nei concerti portavo con me brani che, sera per sera, mi sembravano adatti a rappresentare in piccola parte il momento che viviamo».
Lei però ha sempre sostenuto che non scriverebbe mai una canzone su un fatto di cronaca, anche clamorosa...
«Perché non ne sono capace, non credo di avere né la sintesi immediata e né la limpidezza che sarebbero necessarie. Io canzoni su quello che succede ne scriverei una alla settimana, ma non mi pare che sia questo il mio mestiere. Non penso di dover fare la cronaca in musica dei grandi avvenimenti che ci piovono addosso».
E qual è il suo mestiere?
«Raccogliere, fare sedimentare e filtrare i pensieri, mettere insieme le riflessioni, sposarle con la musica che, a sua volta. ha bisogno di tempo...».
Farà ancora dischi di sola musica come "Not One Word"?
«Vedo un futuro sdoppiato: le canzoni sono il prodotto delle mie riflessioni, ma un paio d'anni fa ho ricominciato a scrivere solo musica. È come avere un doppio binario e mi faccio un augurio: di avere la curiosità per continuare a esplorare rami così diversi».
Vivere in campagna, non essere mondano né presenzialista aiuta il suo mestiere?
«Non essere presente né avere obblighi sulle scene mi aiuta a concentrarmi ma anche a perdere tempo che trovo un'arte altissima. Anzi, questa nobile arte del perdere tempo si traduce poi in tutto cià che scrivo e quindi una sua piccola utilità c'è».
Da almeno dieci anni, suo figlio Claudio suona batteria e percussioni per lei. Se lo sarebbe mai immaginato?
«No, pensavo che avremmo lavorato separati, invece siamo stati molto vicini. E questo stare accanto è sfociato in una collaborazione quotidiana che mi ha sorpreso».
Che altro la sorprende?
«Sono così innamorato di tutto che farei fatica a scegliere il fatto più sorprendente. Amo il cinema, la letteratura, la musica, e non solo la mia, al punto che la più grande sorpresa è di accorgermi che questa curiosità non viene mai meno».
Vale anche per la vita sentimentale?
«Oh sì, il modo di dire certe cose è lo stesso da millenni, e noi dobbiamo cercare di non smarrire questo linguaggio. Certe parole, anche delle canzoni, possono sembrare puntuali perché sono le stesse da sempre, ma bisogna saperle dire e non nasconderle nella vita di tutti i giorni. Più che saper scrivere una bella canzone d'amore, è meglio saper trasmetterlo, l'amore».
La musica è una cura?
«Sicuramente, come la letteratura, ma forse di più. Io mi sono lasciato curare molte volte dalle canzoni di Randy Newman, è stata la mia medicina segreta».
C'è un film su Cole Porter...
«Ecco, lui è stato uno dei grandi compositori, che sono una categoria diversa e più colta degli autori. Porter ci ha insegnato molte cose. Che la musica ti fa stare bene, per esempio. Non una sola musica. Ma tutta insieme. Senza barriere».
(da Il Secolo XIX, 16 ottobre 2004)



Il cantautore pubblica una raccolta dall'ultima tournée: Tra i brani anche "Il disertore" di Vian.
FOSSATI:"LE CANZONI COME IL VINO INVECCHIANDO MIGLIORANO"
di Carlo Moretti

Ivano Fossati pubblica una raccolta di sue canzoni registrate dal vivo nella tournée acustica dello scorso anno. E' il terzo live della sua carriera (si intitola Dal vivo-volume3) ma i suoni e le esecuzioni sono così precisi e accurati che sembra quasi di ascoltare un album registrato in presa diretta in studio.
D- Ritrova in questo disco la stessa volontà di trasparenza che lei disse di voler raggiungere nei concerti della tournée acustica?
R- Mi pare di sì. Credo che alcune interpretazioni di questo disco siano risultate le migliori da quando le canzoni sono state scritte. E credo che questo sia proprio me rito dello svuotamento di suoni, di quest'aria che passa maggiormente attraverso le parole e gli strumenti. In concerto è stato come poter interpretare con uno spazio maggiore intorno a me. E quando riascolto queste registrazioni ritrovo la sensazione di trasparenza che avevo sul palco.
D- Nella presentazione lei ha parlato di "interpretazione consapevole".
R- Ci sono canzoni che ti porti dietro per anni cercando di capire bene che cosa hai
scritto, che cosa c'era dietro le tue stesse parole. Una canzone come "Una notte in Italia" è come se oggi riuscissi a leggerla con più chiarezza rispetto a quando l'ho scritta. Ci sono canzoni scritte a vent'anni che per qualche ragione rimangono oscure, almeno in parte, per molto tempo; altre che sembrano chiarificarsi. E non si chiarificano soltanto per chi le acsolta ma anche per chi le interpreta. Con il tempo per certe canzoni questa possibilità si apre come una porta, per altre questa piccola porta non si apre mai. Mi capita anche  quando ascolto canzoni di altri, non solo le mie.
D- Il disco si chiude con "Il disertore" di Boris Vian solo voce.
R- Mi sembrava una scelta umana e di rigore, mi sembrava che quelle parole bastassero, che per quella canzone così asciutta e precisa non ci fosse in quel momento bisogno di un accompagnamento orchestrale. Certo rendendomi conto che questa interpretazione la rende ancora più nitida e significante specialmente nel momento che stiamo vivendo.
D- "Pane e coraggio", la canzone sugli emigranti, è stata premiata da Amnesty International. Guardando la cronaca di oggi è ancora possibile cogliervi un risvolto poetico?
R- Il risvolto poetico, per quanto difficile sia immaginarlo, è insito nelle cose. Si  accompagna alla tragicità ma contemporaneamente alla pietà e in qualche caso, anche se  può sembrare paradossale, alla poeticità delle azioni stesse. Ogni tanto qualcosa di centrato in questo senso si riesce anche a scrivere. Io credo che "Pane e coraggio" sia essenzialmente una canzone chiara, molto comprensibile, senza doppie letture. Vale per se stessa, per ciò che dice.
D- Nel suo nuovo sito Internet lei ha inserito al primo posto nella sua discografia l'album dei Delirium. si diceva che lei mal sopportasse il riferimento a quel periodo. Non è più così?
R- Invariabilmente più le cose si allontanano più l'affetto cresce. Ma c'è anche un altro motivo: io oggi, più di vent'anni fa, dò valore musicale a quel periodo, e ciò non riguarda i Delirium in particolare, quanto ciò che avveniva nell'Italia musicale all'inizio degli anni '70. In mezzo a tanta improvvisazione c'era un entusiasmo e in qualche caso una lucidità che ha fondato le basi per un salto di qualità che negli anni '60 ancora qui non avevamo.
D- In questa raccolta live "Canzone popolare" non c'è. Diventata l'inno dell'Ulivo è come se fosse uscita dall'orbita delle canzoni che lei preferisce. Darebbe ancora un brano a uno schieramento politico se glielo chiedessero?
R- Credo che un'operazione del genere si possa fare una sola volta, specialmente con la stessa canzone, perché non avrebbe senso. E poi io sono convinto che la politica non ha bisogno di canzoni. Qualcuno assocerà "Canzone popolare" alla vittoria dell'Ulivo nel '96, è inevitabile, ma sorrido quando mi dicono che è un inno: è rimasta una canzone.
(da La Repubblica, 18 ottobre 2004)



Fossati, in viaggio con un Disertore
Tour acustico - dal vivo Vol.3, memoria dei concerti nei teatri. E di un "problema morale" risolto così...
di Paolo Gallori

Ivano Fossati lo aveva anticipato, seppur in modo sfumato. Quando lo incontrammo a fine 2003 al Teatro Comunale di Matelica, dove erano in corso le prove del Tour Acustico, il cantautore aveva parlato della possibilità di trarre dallo spettacolo un album dal vivo. La tournée sarebbe partita dal Ponchielli di Cremona, luogo in cui si è fatta la storia "live" di Fossati, discograficamente parlando. In quel teatro furono registrati Buontempo dal vivo Vol.1 e Carte da decifrare Vol.2, pubblicati entrambi nel 1993.
"Se mai questo disco si farà - aveva detto Fossati - vorrei che fosse il numero tre, a distanza di dieci anni. Non vorrei che fosse in concorrenza con i primi due, ma che fosse proprio il terzo capitolo di quella storia. E il fatto di ripartire anche questa volta dal Ponchielli, che fu un momento felice, mi piace molto, mi sembra di buon auspicio". Eccolo, dunque, il "numero tre". Tour acustico - dal vivo Vol.3 è il suo titolo ufficiale.
Un disco che rispetta in pieno quella "voglia di leggerezza" che aveva spinto Fossati a tornare in scena, con nuovi compagni e un'obiettivo molto chiaro nella mente: "Le canzoni parlano da sole. Non c'è bisogno né di spiegarle né di appesantirle. Noi abbiamo cercato di fare tutto quel che è possibile per riportarle al loro stato iniziale di canzone semplice. Anche quando, in qualche caso, ci sono dei testi un po' più complessi. Abbiamo fatto di tutto per spogliarle di sovrastrutture colte o pseudocolte. E' un'operazione che mi sembra necessaria, almeno per me, in questo caso e in questo momento".
Allontanata da sè l'aura "professorale", Fossati scarta le sue canzoni di ogni involucro protettivo, rinunciando anche alla totale coerenza con il manifesto programmatico del titolo. "Il suono acustico del concerto - scrive Ivano nelle note dell'album - prevede alcune 'intrusioni' di nobilissimo modernariato elettrico, come l'organo Hammond e il piano Fender Rhodes, che qui figurano per vero amore e anche un poco in spregio alle regole...".
Il concerto acustico, come lo intende Fossati, è un atto d'amore che non rispetta alla lettera dettami "ideologici" ma conosce il valore dell'onestà. In scena non sono approdati computer e magie dell'elettronica. L'illusionismo non abita qui, nemmeno in fase di post-produzione, dove si è cercato solo di raggiungere l'effetto di un'unica performance con registrazioni provenienti da concerti diversi in teatri diversi. "Quello che si può ascoltare - spiega ancora Ivano -, fra pregi e difetti, è ciò che tutti insieme abbiamo potuto offrire agli spettatori...".
Già, cosa ha offerto Fossati al suo pubblico? Un viaggio sonoro che ha il ritmo del mare, ondeggiando dolcemente tra storie, volti, luoghi, sole e pioggia. Una pulsante marimba scandisce il ritmo di I treni a vapore, con cui Fossati toglie gli ormeggi assieme alla sua band: Pietro Cantarelli, di volta in volta al piano, all'Hammond, alla fisarmonica; Claudio Fossati alla batteria; Riccardo Galardini alla chitarra acustica; Mirko Guerrini che muove tra flauti, harmonium indiano, piccole percussioni, Fender Rhodes, fisarmonica; Daniele Mencarelli a tormentare basso acustico e contrabbasso; l'infaticabile Saverio Tasca, l'uomo dei mille ritmi, sepolto tra marimba, shaker, piatti, timpani, djembè, vibrafono.
Con quei colori Ivano dipinge il suo acquerello dal ponte di comando. La dolente Pane e coraggio è la perfetta, comune epopea dei popoli in cammino, patria ingrata alle spalle, presi da un sogno che dura un viaggio. Solenni tamburi accompagnano la Smisurata preghiera di chi si ostina a viaggiare contromano mentre "la maggioranza sta". La fisarmonica introduce la poesia di C'è tempo, con il reading di Fossati sostenuto dal solo pianoforte finché la band interviene a pieno organico. Oh che sarà perde quasi del tutto i connotati della bossanova, resta una melodia dalla pulsazione irregolare, notturna, e il testo indimenticabile di Chico Buarque che fu tradotto da Ivano.
La mandola di Galandini ricopre di romanticismo L'uomo coi capelli da ragazzo, Fossati al pianoforte in uno dei momenti più intensi dell'album, dove c'è spazio anche per una fisarmonica e persino per i raggi della ruota di una bicicletta. Blues è l'armonica in cui lo stesso Fossati soffia Il bacio sulla bocca, cantando con voce fragile il suo valzer dell'amore che fa rinascere a qualsiasi età. Il tango entra con prepotenza nel Notturno delle tre, La pianta del tè profuma d'Oriente, L'Angelo e la pazienza incrocia le rotte di Piazzolla e Waits.
Una notte in Italia introduce al finale dell'album. Versione che commuove con le sue note diluite in un tempo onirico che, per una volta, non sembra un limite invalicabile. ll clarinetto basso di Guerrini disegna il tema di Cartolina, mentre il tintinnio di un bicchiere di cristallo si erge ostinato sul soffuso tappeto di tastiere e percussioni. Un autentico bridge di leggerezza che immette a Mio fratello che guardi il mondo. Poliritmie di altri emisferi risuonano nel silenzio, prima che il pianoforte emetta le prime note. Ed ecco la chitarra di Galardini intonare il celebre tema di speranza, incastonato in un arrangiamento gioiello. "Se c'è una strada sotto il mare...prima o poi ci troverà...se non c'è strada dentro il cuore degli altri...prima o poi si traccerà".
La fine è un autentico colpo di coda. In una nota diffusa con l'uscita del disco, Fossati scrive: "In questo periodo straordinariamente difficile per il nostro mondo, andarsene in giro a cantare canzoni di qualche tipo, pone forse più di qualche piccolo problema personale, se non addirittura morale. Capita tuttavia (di rado) che il nostro confortevole guscio semovente, fatto di amici musicisti, di collaboratori ingegnosi, di tecnici e di affetti, approdi a una serie di porti amichevoli...". Ebbene, anche in quei porti il "problema morale" Fossati lo ha sollevato, a modo suo: scandendo nel silenzio Il disertore di Boris Vian.
...e a tutti griderò
di non partire più
e di non obbedire
per andare a morire
per non importa chi.
Per cui se servirà
del sangue ad ogni costo,
andate a dare il vostro,
se vi divertirà.
(da Kataweb, 16 ottobre 2004)



Ivano Fossati Dal Vivo Volume 3 - tour acustico
di Marco Molendini

Artista schivo come pochi, fino ad accompagnare l'uscita di un suo album dal vivo con uno scritto in cui esordisce dicendo di non avere mai amato "di compiere tournée, tenere concerti, esibirmi", Ivano Fossati non può sottrarsi più di tanto al rischio del suo mestiere, ed eccolo allora con questa nuova raccolta, la terza dal vivo, in cui offre un largo panorama di quello che è stato il suo ultimo giro di artista: il tour acustico di quest'anno.
Il risultato è un disco (esce oggi) elegante e raffinato, suonato splendidamente (con Ivano, una splendida band), curato con certosina precisione. Le canzoni portano la firma di un'artista ispirato e di talento: ecco l'apertura con I treni a vapore, seguita da Pane e coraggio e dalla bellissima Smisurata preghiera. Quattordici pezzi che respirano e lasciano spazio al gusto di far musica. C'è l'ottima traduzione di Oh che sarà di Chico Barque, La pianta del tè, soprattutto c'è Una notte in italia. nel suo testo di accompagno all'uscita del disco, Fossati racconta (timidamente, è ovvio) della sua "convinzione di aver dato di alcune particolari canzoni la più consapevole (comprenderete se evito il termine "matura") interpretazione ad oggi".
Forse basterebbe questo per ascoltare con attenzione questo album dal vivo, assai più curato di tanti album da studio.
(da Il Messaggero, 15 ottobre 2004)



Il Live
Con Fossati in «direzione ostinata e contraria»
di fe. va.

Non c’è soltanto «Smisurata preghiera», finora nota solo nella versione del suo coautore De Andrè, a rendere prezioso «Ivano Fossati dal vivo volume 3», album testimonianza dello splendido tour acustico della stagione scorsa, lavoro di sottrazione e concisione che rinunciava all’elettronica e all’estetica da canzone pop, sia pur cantautorale, in favore di arrangiamenti essenziali, acustici, capaci di lasciare spazio al silenzio, ai pianissimo, oltre che di dare profondità alle parole dell’artista genovese.
Parole che a volte sono rose e altre sono pietre, ancora più forti e taglienti riascoltate così, ostaggio della routine delle novità discografiche. «Pane e coraggio» e «Mio fratello che guardi il mondo» sembrano scritte sulla spiaggia di Lampedusa, sulle strade dove le schiave del terzo millennio sono costrette a vendere il proprio corpo, nelle città dove gli immigrati fanno lavori che nessun altro vuol fare, ma poi sono accusati di «rubare i posti e le case agli italiani».
Chitarre acustiche, mandole, fisarmoniche, vibrafoni, contrabbassi, marimbe e quel pianoforte così ricco di echi del Novecento, classico e jazz: Fossati incanta con leggerezza e profondità, rema come Alvaro Mutis e l’amico fragile Faber «in direzione ostinata e contraria», rilegge classici brasiliani («Oh che sarà» di Chico Buarque De Hollanda) e francesi («Il disertore» di Boris Vian, in una versione per sola voce: una scelta non casuale in tempi di guerra).
Quattordici brani, poco più di 65 minuti, si va da «I treni a vapore» a «C'è tempo», da «Il bacio sulla bocca» a «La pianta del tè» e «Una notte in Italia». «Metto su cd questi pezzi perché mi appaiono nella versione più consapevole, evito il termine matura, che finora hanno conosciuto», assicura il loro autore: «Non si scrive per riempire i solchi di un disco. E non si pubblicano otto-dieci canzoni solo perché un discografico te lo chiede. Nell’era di Internet nessuna raccolta di musica è indispensabile, ma queste registrazioni dal vivo sono una fotografia corretta che rappresenta me e le mie canzoni. Sono ritratti che mi piacerebbe un giorno ritrovare alla pareti delle case più lontane, accanto alle persone meno previste».
(da Il Mattino, 14 ottobre 2004)



Suoni. Venerdì il nuovo live del cantautore genovese
Tutti i brani sono acustici e «sottili come lastre di cristallo»
di Andrea Scanzi

Anche per i detrattori di Ivano Fossati, che vedono in lui la personificazione del cantautore «troppo»  cantautore, nella sua carriera c'è comunque qualcosa da salvare. Il doppio live, uscito separatamente nel '93, a ridosso di quello che è stato per molti il suo periodo migliore.
Quello di «700 giorni» ('86), «La pianta del tè» ('88), «Discanto» ('90) e «Lindbergh» ('92). Probabile che anche il disco venerdì in uscita, annunciato non senza sorpresa, susciti lo stesso affetto  trasversale. Si tratta, ancora, di un live. Fin dal titolo, essenziale come gli arrangiamenti che lo caratterizzano, c'è l'idea di ricollegarsi ai due predecessori: «Dal vivo volume tre». Fossati ha sempre detto di non amare particolarmente i dischi dal vivo, e tre in trent'anni di carriera non sono tanti, specie se rapportati alla media bulimica dei suoi colleghi (tralasciando De Gregori, fuori categoria, l'unico a fare più live che concerti). Aveva, comprensibilmente, il timore che qualsiasi disco dal vivo suonasse inferiore a «Buontempo - Volume 1» e «Carte da decifrare - Volume 2». Per sentirsi pronto a un'opera terza, ha dovuto aspettare undici anni. Il momento giusto ha coinciso con il tour «acustico»  della stagione scorsa. Tanto l'artista non era stato pienamente soddisfatto del tour elettrico successivo all'ultimo disco, quanto era parso palesemente entusiasta della resa acustica. Di Fossati si è spesso scritto che è un lupo genovese, chiuso, ombroso, ed è una cosa con qualche fondamento di verità e molto abuso di stereotipi. Di sicuro, durante i concerti acustici, tra xilofoni (un suo vecchio pallino) e ruote di bicicletta a scandire il tempo, l'artista non era mai parso così sereno, sorridente.
L'idea di sottrarre arrangiamenti alle canzoni, rendendo i brani «sottili come lastre di cristallo, attraverso le quali si può guardare», si è rivelata vincente. Il feeling con il gruppo e una ritrovata serenità personale hanno fatto il resto. «Dal vivo volume tre» restituisce quella sensazione di musica intatta, e antica, che si respirava durante i concerti. Dopo la fase «cupa», per alcuni troppo cerebrale, di «Macramè» ('96) e «La disciplina della terra» (2000), «Lampo viaggiatore» (2003) e questo live rappresentano la riuscita concretizzazione di una fase «leggera» - per quanto possa essere leggero Fossati - nella carriera di un cantautore non smarritosi negli anni. Il live consta di quattordici brani.
Non ci sono i momenti più ludici, la cover de «Il ragazzo della via Gluck» e la versione country de «La musica che gira intorno», quasi che l'autore avesse sentito il timore di esagerare troppo con la leggerezza. Nessun inedito, lo specchietto delle allodole con cui si giustificano antologie o live, ma «Smisurata preghiera» Fossati non l'aveva mai incisa, e questa versione del brano scritto nel '96 con De André vale il disco. Belle le recenti «C'è tempo», «Il bacio sulla bocca», «Pane e coraggio», «Cartolina» (col figlio Claudio a suonare i bicchieri come batteria). Tra i classici, presenti anche nei due live del '93, ma con vestiti molto diversi, spiccano «Una notte in Italia», «La pianta del tè», «Notturno delle tre», «Mio fratello che guardi il mondo». Splendida «L'uomo coi capelli da ragazzo», solo pianoforte e mandola. «I treni a vapore», cantata (benissimo) da chi l'ha scritta, fa venire il dubbio che forse la Mannoia ha la recensione scritta nel cognome (e magari un giorno la critica avrà il coraggio di scriverlo). Sbagliato escludere la versione minimale di «Vola», che in concerto  appresentava un momento altamente suggestivo. Ottima la chiusura, recitata, de «Il disertore» di Boris Vian.
Un bel live. Prezioso, esigente, essenziale.
(da Il Riformista, 11 ottobre 2004)



Ivano Fossati - Tour acustico - Dal vivo vol 3
di Ernesto Assante

Fossati sta attraversando un periodo di grazia e la sua musica ne risente positivamente. Il disco in questione è bellissimo, e i pezzi vecchi qui rinascono a nuova vita. La chiusura con "Il disertore" è fulminante, solo voce, due minuti e trenta di poesia antimilitarista, da grande interprete.
(da La Repubblica.it)