Dal
Vivo Volume 3 - Tour Acustico
rassegna stampa
Le
meraviglie acustiche di Fossati
«Dal vivo-volume 3», il nuovo disco del cantautore genovese con 14 successi
di Andrea Scanzi
Il primo problema che si
incontra nel parlare di questo live di Ivano Fossati, oggi in uscita per la Sony,
risiede nell'identificazione del titolo. Le note stampa e la copertina strillano
un Dal vivo-Volume 3, mentre la costola dà risalto alla dicitura Tour acustico.
Più didascalico il secondo, più significativo il primo, che si ricollega
esplicitamente ai due live del `93. E qui arriva l'altro problema. Il difficile,
per il cantautore genovese, era incidere un live che non sfigurasse a contatto
con i due predecessori, unanimemente lodati, Buontempo e Carte da decifrare. La
scommessa, ambiziosa, è stata vinta. Dal Vivo - Volume 3 (o Tour acustico, il
dilemma pare insolubile) restituisce perfettamente quello strano, antico incanto
che si respirava a teatro, di fronte a uno spettacolo che non doveva neanche
nascere.
Tutto
è dipeso dalla prima tournèe seguita a Lampo viaggiatore, l'ultimo disco in
studio di Fossati. Quel tour, elettrico, non soddisfò pienamente l'artista. Da
qui l'idea di tornare subito sul palco, cosa che uno come Fossati di per sé non
ama moltissimo, e di tornarci in maniera diversa. Con gli arrangiamenti ridotti
all'essenziale, sostanzialmente acustici, ma -in spregio alle regole-
consentendo qua e là incursioni di nobile «modernariato elettrico», come
l'organo Hammond o il piano Fender.
Poca cosa, comunque, perché di questo tour -e di questo disco- colpiscono
anzitutto le mandole, le ruote di bicicletta e i bicchieri di cristallo a
scandire il tempo, gli xilofoni,il clarinetto, il contrabbasso, le chitarre di
Galardini (straordinario il livello dei musicisti, ottimi produzione e
arrangiamenti di Cantarelli).
Lo spettacolo durava più di due ore, fare un altro doppio live non è sembrato
il caso e per questo si è optato per una scaletta mobile, non rispettosa
dell'ordine con cui venivano eseguiti i brani dal vivo, per un totale di 14
canzoni e una durata di 65 minuti. Ovvio che qualche brano non abbia trovato
spazio, e spiace per Vola, La musica che gira intorno, La casa. Ciò che più
conta, però, è la restituzione di quell'incanto intatto. Nulla da dire: quello
era un gran bel concerto, questo è un gran bel disco. Tra i migliori -e pure il
mercato italiano abbonda e deborda, di live- ascoltati in questi anni.
L'apice è Smisurata preghiera, il brano scritto nel `96 con De André, mai
inciso in precedenza da Fossati.
Riuscita anche l'altra rarità del disco, Oh che sarà, tradotta in origine (da
Chico Buarque) per la Mannoia.
Ma è tutto il disco a volare alto, dalle nuove (ma già «classiche») C'è
tempo e Il bacio sulla bocca, alle note Una notte in Italia, Mio fratello che
guardi il mondo, La pianta deltè, I Treni a vapore. Giusto donare notorietà a
L'angelo e la pazienza, così come Notturno delle tre (Gaber stravedeva per
questo brano).
Incantevole la versione de L'uomo coi capelli da ragazzo, all'altezza Pane e
coraggio e Cartolina.
Chiusura recitata con la traduzione de Il disertore di Boris Vian. Ottimo disco,
niente da dire. Se è vero che i live chiudono una fase e ne aprono un'altra, c'è
curiosità per il futuro. E riconoscenza, per questo presente di note essenziali
e preziose.
(da Il Manifesto, 15 ottobre
2004)
Fossati: perdete più tempo scoprirete
il segreto della vita
L'INTERVISTA Un album dal vivo
per raccontare un tour in tempi difficili
di Renato Tortarolo
La leggerezza come cura dell'anima. Canzoni impastate d'amore e lunghe attese,
frontiere sbarrate e frontiere sfondate, notti italiane che respirano il futuro
e disertori che rifiutano di partire per la guerra.
Una grande passione civile, senza proclami né furberie, anima le 14 canzoni di
"Ivano Fossati dal vivo volume 3", frutto di un lungo tour acustico
che nei mesi scorsi ha valicato i teatri italiani, lasciando fuori, anche solo
per una sera, l'angoscia della cronaca.
Eppure Fossati non esclude alcun tipo d'impegno, non nel senso di una ricerca
privata, e solo pubblica in dischi e concerti, della comprensione. Un esercizio
che il cantautore genovese pratica da almeno vent'anni, scegliendo sempre, a suo
rischio e pericolo, tempi che sono più della campagna e dell'ozio che delle
città e della televisione.
Fossati, si può fare davvero ciò che piace?
«Sì, con fatica e lucidità, perché ciò che guadagni in concentrazione
finisci per perderlo in presenza e popolarità. Ma c'è sempre qualcosa che va
sacrificato».
Qual è lo spirito di questo album?
«Ho la sensazione che le canzoni siano legate: non per un fatto musicale, che
interesserebbe pochi, ma dal punto di vista del pensiero. Sono state scritte in
un lungo arco di tempo ma, tutto sommato, raccontano la stessa storia, un'unica
visione».
E come è possibile?
«Perché le canzoni sono fatte così: vengono fuori spontaneamente, le storie
prendono forma e un giorno l'autore si rende conto di aver raccontato qualcosa
che aveva un senso».
Pensa sempre che cantare sia un problema morale, con quello che succede oggi?
«Sì, anche se appartengo al mondo antico della rappresentazione, salendo
sul palco a volte mi sento fuori posto e fuori tempo. Con quello che succede nel
mondo, suscitare entusiasmi dovrebbe porre qualche piccolo problema».
Lei come lo ha risolto?
«Cercando di fare bene il mio mestiere, di non cavalcare mai l'onda delle
emozioni e cantando cose scritte con asciutezza, senza cercare di
sovraccaricarle di significati portati dalla passione o dagli avvenimenti».
Che tempi viviamo?
«Confusi e difficili, non sta a me dirlo ma speriamo di uscire con forza ed
energia da questo stato di confusione, ch'è una questione planetaria e non
italiana o della nostra piccola società».
In tour e ora nell'album, lei ha inserito canzoni sull'immigrazione o le
diveristà come "Pane e coraggio", "Mio fratello che guardi il
mondo", "Il disertore di Vian...
«Perché sono canzoni da tenersi vicine in momenti come questi. Nei
concerti portavo con me brani che, sera per sera, mi sembravano adatti a
rappresentare in piccola parte il momento che viviamo».
Lei però ha sempre sostenuto che non scriverebbe mai una canzone su un fatto
di cronaca, anche clamorosa...
«Perché non ne sono capace, non credo di avere né la sintesi immediata e
né la limpidezza che sarebbero necessarie. Io canzoni su quello che succede ne
scriverei una alla settimana, ma non mi pare che sia questo il mio mestiere. Non
penso di dover fare la cronaca in musica dei grandi avvenimenti che ci piovono
addosso».
E qual è il suo mestiere?
«Raccogliere, fare sedimentare e filtrare i pensieri, mettere insieme le
riflessioni, sposarle con la musica che, a sua volta. ha bisogno di tempo...».
Farà ancora dischi di sola musica come "Not One Word"?
«Vedo un futuro sdoppiato: le canzoni sono il prodotto delle mie
riflessioni, ma un paio d'anni fa ho ricominciato a scrivere solo musica. È
come avere un doppio binario e mi faccio un augurio: di avere la curiosità per
continuare a esplorare rami così diversi».
Vivere in campagna, non essere mondano né presenzialista aiuta il suo
mestiere?
«Non essere presente né avere obblighi sulle scene mi aiuta a concentrarmi
ma anche a perdere tempo che trovo un'arte altissima. Anzi, questa nobile arte
del perdere tempo si traduce poi in tutto cià che scrivo e quindi una sua
piccola utilità c'è».
Da almeno dieci anni, suo figlio Claudio suona batteria e percussioni per
lei. Se lo sarebbe mai immaginato?
«No, pensavo che avremmo lavorato separati, invece siamo stati molto
vicini. E questo stare accanto è sfociato in una collaborazione quotidiana che
mi ha sorpreso».
Che altro la sorprende?
«Sono così innamorato di tutto che farei fatica a scegliere il fatto più
sorprendente. Amo il cinema, la letteratura, la musica, e non solo la mia, al
punto che la più grande sorpresa è di accorgermi che questa curiosità non
viene mai meno».
Vale anche per la vita sentimentale?
«Oh sì, il modo di dire certe cose è lo stesso da millenni, e noi dobbiamo
cercare di non smarrire questo linguaggio. Certe parole, anche delle canzoni,
possono sembrare puntuali perché sono le stesse da sempre, ma bisogna saperle
dire e non nasconderle nella vita di tutti i giorni. Più che saper scrivere una
bella canzone d'amore, è meglio saper trasmetterlo, l'amore».
La musica è una cura?
«Sicuramente, come la letteratura, ma forse di più. Io mi sono lasciato curare
molte volte dalle canzoni di Randy Newman, è stata la mia medicina segreta».
C'è un film su Cole Porter...
«Ecco, lui è stato uno dei grandi compositori, che sono una categoria diversa
e più colta degli autori. Porter ci ha insegnato molte cose. Che la musica ti
fa stare bene, per esempio. Non una sola musica. Ma tutta insieme. Senza
barriere».
(da Il Secolo XIX, 16 ottobre 2004)
Il
cantautore pubblica una raccolta dall'ultima tournée: Tra i brani anche
"Il disertore" di Vian.
FOSSATI:"LE CANZONI COME IL VINO INVECCHIANDO MIGLIORANO"
di Carlo Moretti
Ivano Fossati pubblica una raccolta di sue canzoni registrate dal vivo nella
tournée acustica dello scorso anno. E' il terzo live della sua carriera (si
intitola Dal vivo-volume3) ma i suoni e le esecuzioni sono così precisi e
accurati che sembra quasi di ascoltare un album registrato in presa diretta in
studio.
D- Ritrova in questo disco la stessa volontà di trasparenza che lei disse di
voler raggiungere nei concerti della tournée acustica?
R- Mi pare di sì. Credo che alcune interpretazioni di questo disco siano
risultate le migliori da quando le canzoni sono state scritte. E credo che
questo sia proprio me rito dello svuotamento di suoni, di quest'aria che passa
maggiormente attraverso le parole e gli strumenti. In concerto è stato come
poter interpretare con uno spazio maggiore intorno a me. E quando riascolto
queste registrazioni ritrovo la sensazione di trasparenza che avevo sul palco.
D- Nella presentazione lei ha parlato di "interpretazione
consapevole".
R- Ci sono canzoni che ti porti dietro per anni cercando di capire bene che
cosa hai scritto,
che cosa c'era dietro le tue stesse parole. Una canzone come "Una notte in
Italia" è come se oggi riuscissi a leggerla con più chiarezza rispetto a
quando l'ho scritta. Ci sono canzoni scritte a vent'anni che per qualche ragione
rimangono oscure, almeno in parte, per molto tempo; altre che sembrano
chiarificarsi. E non si chiarificano soltanto per chi le acsolta ma anche per
chi le interpreta. Con il tempo per certe canzoni questa possibilità si apre
come una porta, per altre questa piccola porta non si apre mai. Mi capita anche quando
ascolto canzoni di altri, non solo le mie.
D- Il disco si chiude con "Il disertore" di Boris Vian solo
voce.
R- Mi sembrava una scelta umana e di rigore, mi sembrava che quelle parole
bastassero, che per quella canzone così asciutta e precisa non ci fosse in quel
momento bisogno di un accompagnamento orchestrale. Certo rendendomi conto che
questa interpretazione la rende ancora più nitida e significante specialmente
nel momento che stiamo vivendo.
D- "Pane e coraggio", la canzone sugli emigranti, è stata premiata
da Amnesty International. Guardando la cronaca di oggi è ancora possibile
cogliervi un risvolto poetico?
R- Il risvolto poetico, per quanto difficile sia immaginarlo, è insito
nelle cose. Si accompagna alla
tragicità ma contemporaneamente alla pietà e in qualche caso, anche se
può sembrare paradossale, alla poeticità delle azioni stesse. Ogni
tanto qualcosa di centrato in questo senso si riesce anche a scrivere. Io credo
che "Pane e coraggio" sia essenzialmente una canzone chiara, molto
comprensibile, senza doppie letture. Vale per se stessa, per ciò che dice.
D- Nel suo nuovo sito Internet lei ha inserito al primo posto nella sua
discografia l'album dei Delirium. si diceva che lei mal sopportasse il
riferimento a quel periodo. Non è più così?
R- Invariabilmente più le cose si allontanano più l'affetto cresce. Ma c'è
anche un altro motivo: io oggi, più di vent'anni fa, dò valore musicale a quel
periodo, e ciò non riguarda i Delirium in particolare, quanto ciò che avveniva
nell'Italia musicale all'inizio degli anni '70. In mezzo a tanta improvvisazione
c'era un entusiasmo e in qualche caso una lucidità che ha fondato le basi per
un salto di qualità che negli anni '60 ancora qui non avevamo.
D- In questa raccolta live "Canzone popolare" non c'è. Diventata
l'inno dell'Ulivo è come se fosse uscita dall'orbita delle canzoni che lei
preferisce. Darebbe ancora un brano a uno schieramento politico se glielo
chiedessero?
R- Credo che un'operazione del genere si possa fare una sola volta,
specialmente con la stessa canzone, perché non avrebbe senso. E poi io sono
convinto che la politica non ha bisogno di canzoni. Qualcuno assocerà
"Canzone popolare" alla vittoria dell'Ulivo nel '96, è inevitabile,
ma sorrido quando mi dicono che è un inno: è rimasta una canzone.
(da La Repubblica, 18 ottobre
2004)
Fossati, in viaggio con un Disertore
Tour acustico - dal vivo Vol.3, memoria dei concerti nei teatri. E di un
"problema morale" risolto così...
di Paolo Gallori
Ivano Fossati lo aveva anticipato, seppur in modo sfumato. Quando lo
incontrammo a fine 2003 al Teatro Comunale di Matelica, dove erano in corso le
prove del Tour Acustico, il cantautore aveva parlato della possibilità di
trarre dallo spettacolo un album dal vivo. La tournée sarebbe partita dal
Ponchielli di Cremona, luogo in cui si è fatta la storia "live" di Fossati,
discograficamente parlando. In quel teatro furono registrati Buontempo dal vivo
Vol.1 e Carte da decifrare Vol.2, pubblicati entrambi nel 1993.
"Se mai questo disco si farà - aveva detto Fossati - vorrei che
fosse il numero tre, a distanza di dieci anni. Non vorrei che fosse in
concorrenza con i primi due, ma che fosse proprio il terzo capitolo di quella
storia. E il fatto di ripartire anche questa volta dal Ponchielli, che fu un
momento felice, mi piace molto, mi sembra di buon auspicio". Eccolo,
dunque, il "numero tre". Tour acustico - dal vivo Vol.3 è il suo
titolo ufficiale.
Un disco che rispetta in pieno quella "voglia di leggerezza" che aveva
spinto Fossati a tornare in scena, con nuovi compagni e un'obiettivo
molto chiaro nella mente: "Le canzoni parlano da sole. Non c'è bisogno né
di spiegarle né di appesantirle. Noi abbiamo cercato di fare tutto quel che è
possibile per riportarle al loro stato iniziale di canzone semplice. Anche
quando, in qualche caso, ci sono dei testi un po' più complessi. Abbiamo fatto
di tutto per spogliarle di sovrastrutture colte o pseudocolte. E' un'operazione
che mi sembra necessaria, almeno per me, in questo caso e in questo
momento".
Allontanata da sè l'aura "professorale", Fossati scarta le sue
canzoni di ogni involucro protettivo, rinunciando anche alla totale coerenza con
il manifesto programmatico del titolo. "Il suono acustico del concerto -
scrive Ivano nelle note dell'album - prevede alcune 'intrusioni' di nobilissimo
modernariato elettrico, come l'organo Hammond e il piano Fender Rhodes, che qui
figurano per vero amore e anche un poco in spregio alle regole...".
Il concerto acustico, come lo intende Fossati, è un atto d'amore che non
rispetta alla lettera dettami "ideologici" ma conosce il valore
dell'onestà. In scena non sono approdati computer e magie dell'elettronica.
L'illusionismo non abita qui, nemmeno in fase di post-produzione, dove si è
cercato solo di raggiungere l'effetto di un'unica performance con registrazioni
provenienti da concerti diversi in teatri diversi. "Quello che si può
ascoltare - spiega ancora Ivano -, fra pregi e difetti, è ciò che tutti
insieme abbiamo potuto offrire agli spettatori...".
Già, cosa ha offerto Fossati al suo pubblico? Un viaggio sonoro che ha
il ritmo del mare, ondeggiando dolcemente tra storie, volti, luoghi, sole e
pioggia. Una pulsante marimba scandisce il ritmo di I treni a vapore, con cui Fossati
toglie gli ormeggi assieme alla sua band: Pietro Cantarelli, di volta in
volta al piano, all'Hammond, alla fisarmonica; Claudio Fossati alla
batteria; Riccardo Galardini alla chitarra acustica; Mirko Guerrini
che muove tra flauti, harmonium indiano, piccole percussioni, Fender Rhodes,
fisarmonica; Daniele Mencarelli a tormentare basso acustico e
contrabbasso; l'infaticabile Saverio Tasca, l'uomo dei mille ritmi,
sepolto tra marimba, shaker, piatti, timpani, djembè, vibrafono.
Con quei colori Ivano dipinge il suo acquerello dal ponte di comando. La dolente
Pane e coraggio è la perfetta, comune epopea dei popoli in cammino, patria
ingrata alle spalle, presi da un sogno che dura un viaggio. Solenni tamburi
accompagnano la Smisurata preghiera di chi si ostina a viaggiare contromano
mentre "la maggioranza sta". La fisarmonica introduce la poesia di C'è
tempo, con il reading di Fossati sostenuto dal solo pianoforte finché la
band interviene a pieno organico. Oh che sarà perde quasi del tutto i connotati
della bossanova, resta una melodia dalla pulsazione irregolare, notturna, e il
testo indimenticabile di Chico Buarque che fu tradotto da Ivano.
La mandola di Galandini ricopre di romanticismo L'uomo coi capelli da
ragazzo, Fossati al pianoforte in uno dei momenti più intensi dell'album, dove
c'è spazio anche per una fisarmonica e persino per i raggi della ruota di una
bicicletta. Blues è l'armonica in cui lo stesso Fossati soffia Il bacio
sulla bocca, cantando con voce fragile il suo valzer dell'amore che fa rinascere
a qualsiasi età. Il tango entra con prepotenza nel Notturno delle tre, La
pianta del tè profuma d'Oriente, L'Angelo e la pazienza incrocia le rotte di Piazzolla
e Waits.
Una notte in Italia introduce al finale dell'album. Versione che commuove con le
sue note diluite in un tempo onirico che, per una volta, non sembra un limite
invalicabile. ll clarinetto basso di Guerrini disegna il tema di
Cartolina, mentre il tintinnio di un bicchiere di cristallo si erge ostinato sul
soffuso tappeto di tastiere e percussioni. Un autentico bridge di leggerezza che
immette a Mio fratello che guardi il mondo. Poliritmie di altri emisferi
risuonano nel silenzio, prima che il pianoforte emetta le prime note. Ed ecco la
chitarra di Galardini intonare il celebre tema di speranza, incastonato
in un arrangiamento gioiello. "Se c'è una strada sotto il mare...prima o
poi ci troverà...se non c'è strada dentro il cuore degli altri...prima o poi
si traccerà".
La fine è un autentico colpo di coda. In una nota diffusa con l'uscita del
disco, Fossati scrive: "In questo periodo straordinariamente difficile per
il nostro mondo, andarsene in giro a cantare canzoni di qualche tipo, pone forse
più di qualche piccolo problema personale, se non addirittura morale. Capita
tuttavia (di rado) che il nostro confortevole guscio semovente, fatto di amici
musicisti, di collaboratori ingegnosi, di tecnici e di affetti, approdi a una
serie di porti amichevoli...". Ebbene, anche in quei porti il
"problema morale" Fossati lo ha sollevato, a modo suo:
scandendo nel silenzio Il disertore di Boris Vian.
...e a tutti griderò
di non partire più
e di non obbedire
per andare a morire
per non importa chi.
Per cui se servirà
del sangue ad ogni costo,
andate a dare il vostro,
se vi divertirà.
(da Kataweb, 16 ottobre 2004)
Ivano
Fossati Dal Vivo Volume 3 -
tour acustico
di
Marco Molendini
Artista
schivo come pochi, fino ad accompagnare l'uscita di un suo album dal vivo con
uno scritto in cui esordisce dicendo di non avere mai amato "di compiere
tournée, tenere concerti, esibirmi", Ivano Fossati non può sottrarsi più
di tanto al rischio del suo mestiere, ed eccolo allora con questa nuova
raccolta, la terza dal vivo, in cui offre un largo panorama di quello che è
stato il suo ultimo giro di artista: il tour acustico di quest'anno.
Il risultato è un disco (esce oggi) elegante e raffinato, suonato
splendidamente (con Ivano, una splendida band), curato con certosina precisione.
Le canzoni portano la firma di un'artista ispirato e di talento: ecco l'apertura
con I treni a vapore, seguita da Pane e coraggio e dalla bellissima Smisurata
preghiera. Quattordici pezzi che respirano e lasciano spazio al gusto di far
musica. C'è l'ottima traduzione di Oh che sarà di Chico Barque, La pianta del
tè, soprattutto c'è Una notte in italia. nel suo testo di accompagno
all'uscita del disco, Fossati racconta (timidamente, è ovvio) della sua
"convinzione di aver dato di alcune particolari canzoni la più consapevole
(comprenderete se evito il termine "matura") interpretazione ad
oggi".
Forse basterebbe questo per ascoltare con attenzione questo album dal vivo,
assai più curato di tanti album da studio.
(da Il Messaggero, 15 ottobre 2004)
Il Live
Con Fossati in «direzione ostinata e contraria»
di fe. va.
Non c’è soltanto «Smisurata preghiera», finora nota solo nella versione del
suo coautore De Andrè, a rendere prezioso «Ivano Fossati dal vivo
volume 3», album testimonianza dello splendido tour acustico della stagione
scorsa, lavoro di sottrazione e concisione che rinunciava all’elettronica e
all’estetica da canzone pop, sia pur cantautorale, in favore di arrangiamenti
essenziali, acustici, capaci di lasciare spazio al silenzio, ai pianissimo,
oltre che di dare profondità alle parole dell’artista genovese.
Parole che a volte sono rose e altre sono pietre, ancora più forti e taglienti
riascoltate così, ostaggio della routine delle novità discografiche. «Pane e
coraggio» e «Mio fratello che guardi il mondo» sembrano scritte sulla
spiaggia di Lampedusa, sulle strade dove le schiave del terzo millennio sono
costrette a vendere il proprio corpo, nelle città dove gli immigrati fanno
lavori che nessun altro vuol fare, ma poi sono accusati di «rubare i posti e le
case agli italiani».
Chitarre acustiche, mandole, fisarmoniche, vibrafoni, contrabbassi, marimbe e
quel pianoforte così ricco di echi del Novecento, classico e jazz: Fossati
incanta con leggerezza e profondità, rema come Alvaro Mutis e l’amico
fragile Faber «in direzione ostinata e contraria», rilegge classici
brasiliani («Oh che sarà» di Chico Buarque De Hollanda) e francesi («Il
disertore» di Boris Vian, in una versione per sola voce: una scelta non
casuale in tempi di guerra).
Quattordici brani, poco più di 65 minuti, si va da «I treni a vapore» a «C'è
tempo», da «Il bacio sulla bocca» a «La pianta del tè» e «Una notte in
Italia». «Metto su cd questi pezzi perché mi appaiono nella versione più
consapevole, evito il termine matura, che finora hanno conosciuto», assicura il
loro autore: «Non si scrive per riempire i solchi di un disco. E non si
pubblicano otto-dieci canzoni solo perché un discografico te lo chiede.
Nell’era di Internet nessuna raccolta di musica è indispensabile, ma queste
registrazioni dal vivo sono una fotografia corretta che rappresenta me e le mie
canzoni. Sono ritratti che mi piacerebbe un giorno ritrovare alla pareti delle
case più lontane, accanto alle persone meno previste».
(da Il Mattino, 14 ottobre 2004)
Suoni. Venerdì il nuovo live del cantautore genovese
Tutti i brani sono acustici e «sottili come lastre di cristallo»
di Andrea Scanzi
Anche per i detrattori di Ivano Fossati, che vedono in lui la personificazione
del cantautore «troppo» cantautore,
nella sua carriera c'è comunque qualcosa da salvare. Il doppio live, uscito
separatamente nel '93, a ridosso di quello che è stato per molti il suo periodo
migliore.
Quello di «700 giorni» ('86), «La pianta del tè» ('88), «Discanto» ('90)
e «Lindbergh» ('92). Probabile che anche il disco venerdì in uscita,
annunciato non senza sorpresa, susciti lo stesso affetto
trasversale. Si tratta, ancora, di un live. Fin dal titolo, essenziale
come gli arrangiamenti che lo caratterizzano, c'è l'idea di ricollegarsi ai due
predecessori: «Dal vivo volume tre». Fossati ha sempre detto di non amare
particolarmente i dischi dal vivo, e tre in trent'anni di carriera non sono
tanti, specie se rapportati alla media bulimica dei suoi colleghi (tralasciando
De Gregori, fuori categoria, l'unico a fare più live che concerti). Aveva,
comprensibilmente, il timore che qualsiasi disco dal vivo suonasse inferiore a
«Buontempo - Volume 1» e «Carte da decifrare - Volume 2». Per sentirsi
pronto a un'opera terza, ha dovuto aspettare undici anni. Il momento giusto ha
coinciso con il tour «acustico» della
stagione scorsa. Tanto l'artista non era stato pienamente soddisfatto del tour
elettrico successivo all'ultimo disco, quanto era parso palesemente entusiasta
della resa acustica. Di Fossati si è spesso scritto che è un lupo genovese,
chiuso, ombroso, ed è una cosa con qualche fondamento di verità e molto abuso
di stereotipi. Di sicuro, durante i concerti acustici, tra xilofoni (un suo
vecchio pallino) e ruote di bicicletta a scandire il tempo, l'artista non era
mai parso così sereno, sorridente.
L'idea di sottrarre arrangiamenti alle canzoni, rendendo i brani «sottili come
lastre di cristallo, attraverso le quali si può guardare», si è rivelata
vincente. Il feeling con il gruppo e una ritrovata serenità personale hanno
fatto il resto. «Dal vivo volume tre» restituisce quella sensazione di musica
intatta, e antica, che si respirava durante i concerti. Dopo la fase «cupa»,
per alcuni troppo cerebrale, di «Macramè» ('96) e «La disciplina della terra»
(2000), «Lampo viaggiatore» (2003) e questo live rappresentano la riuscita
concretizzazione di una fase «leggera» - per quanto possa essere leggero
Fossati - nella carriera di un cantautore non smarritosi negli anni. Il live
consta di quattordici brani.
Non ci sono i momenti più ludici, la cover de «Il ragazzo della via Gluck» e
la versione country de «La musica che gira intorno», quasi che l'autore avesse
sentito il timore di esagerare troppo con la leggerezza. Nessun inedito, lo
specchietto delle allodole con cui si giustificano antologie o live, ma «Smisurata
preghiera» Fossati non l'aveva mai incisa, e questa versione del brano scritto
nel '96 con De André vale il disco. Belle le recenti «C'è tempo», «Il bacio
sulla bocca», «Pane e coraggio», «Cartolina» (col figlio Claudio a suonare
i bicchieri come batteria). Tra i classici, presenti anche nei due live del '93,
ma con vestiti molto diversi, spiccano «Una notte in Italia», «La pianta del
tè», «Notturno delle tre», «Mio fratello che guardi il mondo». Splendida
«L'uomo coi capelli da ragazzo», solo pianoforte e mandola. «I treni a vapore»,
cantata (benissimo) da chi l'ha scritta, fa venire il dubbio che forse la
Mannoia ha la recensione scritta nel cognome (e magari un giorno la critica avrà
il coraggio di scriverlo). Sbagliato escludere la versione minimale di «Vola»,
che in concerto appresentava un
momento altamente suggestivo. Ottima la chiusura, recitata, de «Il disertore»
di Boris Vian.
Un bel live. Prezioso, esigente, essenziale.
(da Il
Riformista, 11 ottobre 2004)
Ivano Fossati - Tour acustico - Dal vivo vol 3
di Ernesto Assante
Fossati sta attraversando un periodo di grazia e la sua musica ne risente
positivamente. Il disco in questione è bellissimo, e i pezzi vecchi qui
rinascono a nuova vita. La chiusura con "Il disertore" è fulminante,
solo voce, due minuti e trenta di poesia antimilitarista, da grande interprete.
(da La Repubblica.it)