La Disciplina della terra - Le recensioni

da La Repubblica - 25 gennaio 2000
Canzoni che svelano il prezzo della felicità
di Gino Castaldo

Povero Fossati, costretto dall'insipienza dei tempie dalla assenza di coraggio degli altri, a portare quasi da solo il carico della responsabilità della grande canzone d'autore.
Essendo rimasto tra le poche persone serie in circolazione (molti altri tacciono o giocano di routine), gli tocca ricordare attraverso la leggerezza della canzone l'amarezza che si annida tenace dietro l'ottimismo dilagante; tocca a lui ricordare che l'unica vera felicità possiile ha un prezzo, che ci vuole disciplina, occhi per vedere, cuore per sentire davvero.
Anche il suo lavoro ha un prezzo. Per fare un disco ci mette quattro anni, perchè non eè uno scherzo, e raduna i migliori musicisti rintracciabili in Italia, perchè le canzoni, volendo, sono anche una grande occasione di musica.
E va giù duro nel nero della notte che avvolge questo nuovo album, doloroso e amorevole, spietato e sublime.
La mia giovinezza, La disciplina della terra e Invisibile sembrano ai primi ascolti le migliori e piu' intense, ma anche altrove si percepisce un filo che lega il tutto come una processione profana in favore del nuovo tempo.
Viene spontaneo a molti pensare a lui come l'erede di De Andre', ma le somiglianze finiscono proprio in questa meticolosa concezione della responsabilita', se non altro sentimentale - il che non e' poco - portata dalla canzone.
Ma un segno c'e': ospite d'eccezione e' Luvi, figlia dell'amico scomparso, la cui presenza sembra rispondere al desiderio di mantenere vivo un legame che noon doveva essere interrotto.
di Gino Castaldo

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Ivano Fossati - La disciplina della terra - Sony
di Andrea Scanzi (Giornalista, redattore de Il Mucchio Selvaggio e collaboratore di svariate riviste, tra cui il settimanale di calcio e cultura Rigore)
ruidavor@technet.it

A quattro anni da Macramè, è finalmente uscito il nuovo disco di Ivano Fossati, La disciplina della Terra. Solitamente innumerevoli le collaborazioni (Roberto Gatto, YoYo Mundi, London Session Orchestra...) e felicissima la decisione di tornare all’uso della chitarra elettrica, assente da molto (troppo) tempo. L’inizio è di quelli che si ricordano: La mia giovinezza, dallo scoperto nonché ispirato autobiografismo, poggia sullo strano connubio fisarmonica/chitarra elettrica/percussioni/glass flute ed è simile alle atmosfere di Macramè, mentre Treno di ferro, dedicata "ai ragazzi che partono, in pace e in guerra", come recita il ‘sottotitolo’, è uno dei capolavori assoluti dell’artista, vicina all’altrettanto grandiosa Dieci soldati, presente in 700 giorni. Dopo questo ‘dittico elettrico’, Fossati torna ai tenui toni dell’amato pianoforte, avvolgendo di atmosfere jazz la title track (altra gemma), Invisibile (con un violoncello da brividi), la meno convincente Sono tre mesi che non piove (scritta originariamente per Tosca) e la splendida Angelus. Il ‘quartetto pianistico’, unito al traditional La rondine (duettato con Luvi De Andrè) ed alla straniata Il motore del sentimento umano, in cui ritorna il tema dello spiazzamento temporale ("Che tempo è questo/che tempo/che strada e che ora del giorno è"), danno però al lavoro – e qui sta l’unico neo di un quasi-capolavoro, assieme ad una certa enfasi che qua e là traspare nel cantato - un’atmosfera lievemente monocorde, che poco lascia spazio ai cambi di ritmo ‘promessi’ dai primi episodi e a quelle sperimentazioni musicali che, da sempre, appartengono al repertorio dell’artista. La disciplina della terra termina con due strumentali, Dancing sopra il mare e Finale: i brani, uniti dalla voce recitante di Mercedes Martini e malinconici come le scie deandreiane de Le nuvole ed Anime salve, lasciano presagire – come la traccia conclusiva di Macramè, Speakering - un prossimo lavoro instrumental di Fossati. La vera pentecoste dell’album è però Iubilaeum Bolero, folgorante elogio della lucidità e feroce satira contro la superstizione travestita da religione, nell’anno ‘santo’ del Giubileo. Il testo, ricercato eppur chiarissimo, è figlio del Fossati più indignato (quello di Discanto e Lunario di Settembre), mentre l’impianto sonoro spazia tra cori giubilanti, percussioni eretiche ed un fulmine che, per somma ironia - considerando il rigoroso agnosticismo dell’autore - va ad incenerire le processioni bigotte, emblema di un’umanità malata. Proprio come dovrebbe fare, se esistesse, una giustizia divina: "Tutto questo va verso l’alto/come un fiume verticale/a fulmine di spada". Un grande ritorno, per uno dei pochi autori italiani che sa ancora dare un senso, una profondità, una valenza poetica, alla parola cantata.

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da Mucchio Selvaggio n.380 18-24 gennaio 2000
di Cico Casartelli

Siamo nel 2000 e sembra passata un'eternità dall'ultima volta che Ivano Fossati fece parlare di sé, in termini discografici. Era il 1996: prima Macramé e poi Anime salve, l'album scritto con Fabrizio De André, lavori usciti a breve uno dall'altro.
Quattro anni e finalmente abbiamo per le mani "La disciplina della terra" che, senza tergiversare, è uno dei migliori album del cantante ligure, ogni volta capace di rinnovarsi pur rimanendo saldamente fedele a se stesso.
Prodotto dal fido Beppe Quirici e con qualche ospite speciale qui e la' (fra gli altri, compaiono degli elementi degli Yo Yo Mundi) e' un disco introspettivo e melanconico, dove Fossati tende piu' a togliere piuttosto che ad aggiungere, iniziando proprio dalla musica: il suono e' piu' rigoroso, con poche concessioni World Music e, di conseguenza, con l'ideale di canzone in primo piano.
Parafrasando un vecchio pezzo dall'artista, qui tutto e' per niente facile ma allo stesso tempo perfetto o quasi. E non ci sono nemmeno dubbi che, alla fine di questo primo scorcio d'inizio millennio, "La disciplina della terra" restera' imbattutto, nell'ambito della produzione nazionale.
Intanto, eccolo presentato, brano dopo brano.
La mia giovinezza: inizio d'album splendido e riconoscibile, nel senso che si tratta di un Fossati in grande spolvero (.../Non ho mai tradito la mia giovinezza/Non devo provare la mia innocenza/.../), sul genere di passati capolavori cone "Il talento delle donne (Time and Silence)" e "La musica che gira intorno".
Treno di Ferro (ai ragazzi che partono, in pace e in guerra): lunga ballata con prologo piano e voce, che affronta il tema della guerra con la profonda leggerezza che da molti anni distingue l'artista.
La disciplina della terra: il tono riflessivo del disco inizia a prendere precisa forma e con questo brano, di nuovo introdotto dal pianoforte e quindi sviluppato dall'orchestra diretta da Gianfranco Lombardi, si ha l'ennesimo saggio del tono obliquo del musicista genovese.
Invisibile: forse il pezzo piu' mesto della raccolta, dove a un testo lirico (/.../E' l'invisibile limpidita' la misura del tempo/ La grande arte e' un mestiere piccolo invisibile/...) corrisponde una musica d'impostazione classica guidata dal violoncello di Louise Hopkins.
Son tre mesi che non piove: il mood dolente dell'album e' stabilito, tanto che Fossati si permette un'incursione jazz con Enrico Rava alla tromba.
Angelus: lieve ballata folk, una di quelle canzoni d'amore che a Fossati riescono magnificamente e che non scadono nella tipica piaggeria nostrana del genere.
lubilaeum bolero (Ai giubilanti dell'anno Duemila): semplicemente il capolavoro dell'album e, in assoluto, uno dei massimi vertici di Fossati; dieci minuti di feroce critica sociale, portata avanti su note e arrangiamenti tra i suoi piu' vibranti (Rava e' ancora protagonista), fino alla lunga coda strumentalefree che poi si chiude col recitativo di Mercedes Martini (/.../Io brindo al vostro passaggio/Al piacere del ladro/Alla pubblica colpa/Bevo acqua gelida a larghe mani/Bevo agli orizzonti gobbi/Alle femmine barbute/alle scimmie e ai cani/Mi guardo ancora nello specchio/E vi saluto brava gente/.../).
La rondine: brano tradizionale scoperto per caso da Fossati e cantato in duetto con Luvi De Andre', dove per altro l'originale matrice folk resta intatta.
Il motore del sentimento umano: di nuovo un'introduzione piano e voce, per un pezzo che e' l'episodio piu' involuto e verboso del disco, dove la leziosita' si fa palese fin dall'attacco del testo ("Il motore del sentimento umano/Non lascia indirizzo ne' traccia/Cara la mia bella faccia da straniera/E per di piu' l'amore che si finge/ E' tutto seme di gatto lacrime/E saliva leggera/.../).
Dancing sopra il mare (Panama, parte seconda e finale): inteso come epilogo ad uno dei suoi brani piu' belli e celebri, "Panama", il frammento e' uno strumentale jazzato, arricchito nel finale ancora dalla voce recitante di Mercedes Martini.
Finale (Al tempo che si muove): strumentale piano e orchestra.
Il disco esce il 28 gennaio.
Cico Casartelli

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(da Rockol 2/2000)
Ivano Fossati - LA DISCIPLINA DELLA TERRA
Sony

Il distacco dalla forma canzone, l’allargare le maglie della forma canzone, l’allontanamento da certe rotte battute in precedenza... si parla sempre di queste cose, da qualche anno, quando esce un album di Ivano Fossati. Ne parla anche lui, a quanto pare, e si finisce così per dare contorni ogni volta netti e definiti a qualcosa che continua ad essere lì da anni, e ad oscillarci davanti come il mare, senza decidersi se andare o venire. In realtà per trovare canzoni di Fossati che siano in qualche modo ‘popolari’ e ‘popolate’ bisogna tornare indietro a più di vent'anni fa, a quella famigerata “La mia banda suona il rock” che l’artista genovese aborre ormai come un’immagine distorta di se stesso, oppure alle mille delizie scritte per altri, da “Pensiero stupendo” a “Non sono una signora” e “Un’emozione da poco”. Fortunatamente per lui (anche se rimangono grandi canzoni, in quel genere), Fossati ha sempre tenuto il suo nome lontano da quell’immaginario, perseguendo nei suoi album strade meno battute ed evidentemente più ‘sentite’ di quanto possano esserlo state canzoni scritte su commessa. Si è inerpicato su mulattiere fatte di armonie tanto essenziali quanto sghembe, solcate apposta per la sua voce e soltanto ultimamente più ricche di curve e saliscendi: ha raccontato il suo piccolo mondo fatto di grandi cose avendo sempre più cura di fotografarsi sullo sfondo, quasi nascosto ad osservare la scena nascosto dalla tendina di una finestra. Ha visto e raccontato la guerra, in molte canzoni, quella eterna che passa dalle storie dei partigiani per sfociare nei mille fuochi della ex-Jugoslavia, quella che separa vite e destini a volte dati per definitivi. Ha raccontato la sua donna mille volte, («la prima volta che mi sono innamorato/era una donna conosciuta in un sogno/ e dopo è sempre stato così», canta nell’iniziale “La mia giovinezza”) e lo stesso ha fatto a volte con la recita dei sentimenti, sottolineandone debolezze, ipocrisie e istinti salvifici. Ha – soprattutto – buttato un occhio su quanto succedeva intorno, traendone di volta in volta,  indignazione, rabbia, rassegnazione, inismo, mutismo. In questo senso, “La disciplina della terra” prosegue e amplifica quel discorso, come del resto c’era da aspettarsi: passato il guado della rarefazione con “Lindbergh” e la secca dei lunghi excursus strumentali del tour di “Macramé”, la musica di Ivano Fossati torna adesso ad arricchirsi di nerbo e spessore, aggiungendo peso e valore a una rotta intrapresa da anni. “La mia giovinezza” è un ottimo inizio, e ancora meglio è la successiva “Treno di ferro”, il cui ritornello è una delle cose più belle mai scritte da Fossati. “La disciplina della terra” e “Invisibile” – originariamente titolo provvisorio dell’album – sono i due pezzi centrali dell’intero lavoro, perfettamente a fuoco e precedono “Sono tre mesi che non piove”,  brano d’atmosfera jazz impreziosito da una lunga coda di tromba con sordina, suonata da Enrico Rava e capace di ricordare il miglior Miles Davis. “Angelus” è invece un ritratto femminile nel tipico stile dell’artista ligure, mentre “Iubilaeum bolero” rimanda a pezzi dalla struttura composita già tentati in passato da Fossati (su “Discanto”, ad esempio). “La rondine” - cantata con Luvi De André - è un omaggio alla canzone popolare da sempre amata e praticata, mentre “Il motore del sentimento umano” riporta Fossati alla descrizione di meccanismi e dinamiche che gli sono cari. “Dancing sopra il mare” è giusto uno scherzo da orchestrina su cui si innesta un recitato, mentre la melodia suonata sulla nave  lasciata per vent’anni al largo di Panama riecheggia “Italiani d’Argentina” e finisce per sfociare nello strumentale per piano e orchestra che chiude l’album, “Finale”. Sul versante dei contenuti “La disciplina della terra” sembra, anzitutto, un richiamo all’ordine, ad un ordine che non c’è più, violato com’è dallo spirito dei tempi, irrispettoso e ingordo, impaziente e ansioso, dedito al commercio continuo. La disciplina della terra è una maglia invisibile che regge l’impalcatura di quel teatrino che ci affanniamo a chiamare società civile e che, dal profondo della sua protervia, di quella maglia vorrebbe forzare i nodi, ridisegnandola quasi a sua immagine e somiglianza, e  rendendola, di conseguenza, instabile. «La disciplina della terra sono i padri e i figli/ i cani che guidano le pecore...»: si parla di questo, qui, ma non certo con la furia cieca del vate, semmai con la serena consapevolezza che è con quella stessa disciplina che prima o poi bisogna fare i conti, e che, a saperla vedere («me ne stavo qui con gli occhiali al soffitto/ a innamorarmi dei colori delle cose/ ma desiderare non basta/ da così lontano non basta...»), la vita ha una forza capace di inebriare («ora ho un contratto con gli angeli/ e ti ritrovo di sicuro vita/ in qualche mese d’agosto accecante/ o in un tempo meno illuso/ che vuoi tu»). “La disciplina della terra” è anche un disco che, nonostante sia forse il più suonato tra gli album di Fossati, sembra  invocare e elogiare il silenzio.  C’è silenzio tra le quinte delle canzoni, c’è la sensazione di essere inseriti in un tempo e in un luogo invisibili, in un mondo parallelo dal quale la voce viene fuori a raccontare storie che procedono di pari passo al tempo, che scorre e va via. Il fluire silenzioso delle cose («l’invisibile limpidità/la misura del tempo/la grande arte è un mestiere piccolo/invisibile»), il senso di una misura da non oltrepassare, la giusta distanza dalle cose, sempre inseguita e spesso mai raggiunta: di queste e altre piccole grandi cose è da sempre fatta la disciplina di Ivano Fossati, che forse in questo album corre il rischio di sembrare altezzoso solamente quando apostrofa con sferzante ironia i giubilanti dell’anno 2000, «esultanti/vuoti come i giorni di vento/accompagnati dalla musica del novecento/ preparata dai grandi cuochi del novecento», dimenticando di cogliere, in quel monumento alla logica negata che è la religione e in quel dispendio perfino volgare di mezzi ed energia, un istinto indissolubile dall’uomo, animale e soprannaturale al tempo stesso: la paura dell’ignoto, le mille domande e le altrettante risposte che ognuno – a modo suo – si dà. Se la religione agli occhi del logico è quasi superstizione, non si può non accettare l’uomo con tutte le sue debolezze, compresa questa. O si corre il rischio, da testimoni, di passare per giudici.
TRACKLIST “La mia giovinezza” “Treno di ferro” “La disciplina della terra” “Invisibile” “Sono tre mesi che non piove” “Angelus” “Iubilaeum bolero” „La rondine“ „Il motore del sentimento umano“ “Dancing sopra il mare” “Finale”
(da Rockol 2/2000)

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(da Rockol - 25 Gen 2000)
Ivano Fossati presenta il nuovo album

Ivano Fossati protagonista delle pagine degli Spettacoli della maggior parte dei quotidiani nazionali. Il suo "La disciplina della terra", nei negozi nel fine settimana, viene presentato e commentato; a colpire l’immaginazione e guadagnare la metà dei titoli è tuttavia la presenza nel brano "La rondine" di Luvi, figlia di Fabrizio De André (da segnalare il sottotitolo del "Corriere della Sera": "La morte di Fabrizio mi ha spinto a mettere le viscere su un tavolo). Su "Il Giorno", Andrea Spinelli ricorda che «l'autore di Panama è già pronto per partire in tournée. Debutto il 14 febbraio al Morlacchi di Perugia, poi Civitanova Marche il 15, Fabriano il 16, Terni il 27, Carrara il 4 marzo, Firenze il 6, Lumezzane (Bs) il 9, Bergamo il 14, Bologna il 20, Carpi il 31, Mantova il 3 aprile, Milano il 10 e Cremona il 19» e chiede «Che momento creativo fotografa "La disciplina della terra"? "A giudicare dal piacere con cui l'ho registrato, direi un momento molto fortunato. Credo proprio che questa sia la mia ‘forma canzone’ più evoluta. Forse un po' obliqua, slargata, ma mia al cento per cento.  Quattro anni dopo l'ultimo album in studio volevo focalizzare appieno il mio essere artista, poi farò altri esperimenti, a cominciare dal disco strumentale a cui sto pensando da tempo». Secondo Flavio Brighenti de "La Repubblica", «C'è da scommettere che soprattutto "Jubilaeum bolero", la canzone polemicamente dedicata "ai giubilanti dell'anno 2000", farà discutere. "È la canzone meno progettuale di tutto l'album, mi è venuta in scrittura automatica. Ho inteso fare un affresco che fosse una processione profana, di un'umanità alla ricerca periodica di riscatto e purificazione. E volevo che fosse chiaro che la mia è una posizione di semplice osservatore. Tanto che, alla fine dell'allegoria, dico: attenzione, se fossi là dentro sarei proprio come voi. Insomma non voglio giudicare"». Il notoriamente ruvido Fossati viene infine un po’   stuzzicato da Marinella Venegoni su "La Stampa": «In "Angelus" canta una donna "pronta e muta come un pianoforte/ come un calendario". Una donna così fredda? "In realtà, è l'attesa dei miracoli di tutti gli uomini come me che non sono tanto bravi con le donne". Eppure lei, il cantautore più riservato, è anche l'unico di cui le cronache rosa raccontano tutti i fidanzamenti, da Mia Martini fino a Nancy Brilli. "C'è diversità fra la riservatezza e il vivere la vita come credi di viverla"». Infine, il "Corriere della Sera" segnala come prossimo impegno di Fossati la colonna sonora del film "La lingua del santo", di Carlo Mazzacurati. 
(da Rockol - 25 Gen 2000)

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