not one word
- il comunicato stampa
DOUBLE
LIFE
Ivano
Fossati Double Life è un progetto aperto nella forma e nel tempo.
Può
essere inteso come un gruppo musicale di entità variabile e come una forte
volontà di affrontare un lavoro sulla composizione che sia alternativo alla
canzone.
NOT
ONE WORD
A
diciotto anni il mio sogno musicale non era certo quello di cantare, avevo
studiato abbastanza da poter improvvisare sulla tastiera di un pianoforte,
soffiavo dentro il flauto e aggredivo la chitarra, tutti strumenti che
“cantano” meravigliosamente al posto della voce umana. Mi piaceva (e mi
piace tuttora) la musica strumentale, le colonne sonore dei film di cui
collezionavo i dischi. Invece ho scritto canzoni dal 1971 ad oggi e le ho per
giunta interpretate, cantandole. E’ curioso che io stesso osservi però come
fra le mie canzoni e i miei album serpeggi la scrittura strumentale fino
dall’inizio, come non abbia potuto fare a meno di “contrabbandare” temi
strumentali in quasi tutti i miei dischi. Un territorio a parte libero dalla
parola che non ho mai voluto abbandonare, una porta alle spalle sempre aperta,
una bella via di fuga. Oppure qualcosa che mi ricordasse (e perché no
ricordasse anche agli altri) la mia vera passione, quella per il canto degli
strumenti musicali, che in me rimane paradossalmente disgiunta dall’altro
profondo amore per la lingua che parliamo, i pensieri, la parola appunto, e la
sua fonetica (quest’ultima è già musica ed è questo il punto che spezza il
paradosso e forse fortunatamente per me chiude il cerchio).
Not one word,
il primo album che realizzo nell’ambito del progetto Double Life è la
trasparenza totale delle mie passioni con il contributo e l’interferenza degli
amori musicali e della preparazione altrui. Un titolo così perentorio non lo
spiego altrimenti se non in chiave giocosa, uno sberleffo alle parole anzi alle
mie stesse parole, quelle che ho scritto per tanto tempo e che continuerò a
scrivere.
Se le canzoni non si spiegano, la musica da sola ancor meno, non si può proprio
raccontarla o sceneggiarla. Ci si entra attraverso i titoli che i singoli brani
portano come una faticosa bandiera di se stessi, il resto lo deve poter fare
ogni singola composizione, con la sua forza e la sua ragione di essere perché
questo è il suo compito.
Le passioni cui accennavo e che attraversano Not one word sono le mie
certamente, ma anche
per esempio
quelle del
direttore d’orchestra
Paolo Silvestri che guarda per brevi attimi a Gil Evans o alle band di
Carla Bley e poi si storce verso il genio di Astor Piazzolla o Dino Saluzzi
restando ben piantato con lo sguardo nel tempo che viviamo o correndo subito
oltre. Le mie passioni sono invece le mie stesse capacità, quello che so,
quello che ho imparato dai pianisti che amo, fra tutti Ahmad Jamal e poi dai
compositori come Ennio Morricone, Michel Legrand e la lista sarebbe
interminabile ancor prima di sfiorare i classici del passato.
Martina Marchiori e Claudio (Fossati) sono altamente irriverenti nei confronti
degli strumenti che suonano e quindi della letteratura strumentale e compositiva
che li accompagna, assai diversa nei due casi ovviamente ma fortemente
condizionante. Hanno salde gabbie da cui liberarsi e si impegnano ferocemente a
farlo.
Ringrazio quel grande strumentista, vero virtuoso del clarinetto che è Gabriele
Mirabassi, lavorare con lui era un mio desiderio da tempo. Gabriele ha
ulteriormente disorientato un tango che già proprio tango non era e viaggiava
senza bussola fin dal principio. Ringrazio Pietro Cantarelli per il suo lavoro
sulle sonorizzazioni e mando un saluto a tutti i musicisti dell’“ORCHESTRA
DI ROMA”, li ringrazio per la professionalità ma soprattutto per la passione
con cui hanno partecipato alle registrazioni di Not one word.
Questo primo capitolo del progetto Double Life non fa di me un
pianista ma semmai un utilizzatore assai poco ortodosso del pianoforte, come non
fa di me un compositore nel senso classico e “alto” del termine, ma vero è
che il giorno in cui ho terminato le registrazioni di questo lavoro mi sono
sentito un musicista più libero di quanto non sia stato fino a oggi e
credetemi, perfino un po’ più felice.
Ivano
Fossati
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