Domenica ho offerto un aperitivo
per il mio compleanno al Lelephant. "Nomen omen": tra i presenti
c'erano alcuni elefanti morti. L'espressione l'ha usata M. (uno di loro) che
dopo aver ricevuto l'invito via sms mi ha chiesto al telefono "Ma ci sarà
il cimitero degli elefanti?" (Il senso è chiaro, no? non chiedetemi di
esplicitarlo! E se proprio devo farlo prima allontanate i bambini dallo
schermo!;-) In effetti ho sorriso sotto il pizzo. Tra gli invitati c'erano sei
pachidermi e ne sono venuti tre (più uno che non si capisce nè che animale sia
nè se sia vivo!)
Uno degli assenti era A.
Ale ha gli occhi più belli che mi sia mai trovato accanto. Sì, più di quelli
di G., che pure sono (perché mi verrebbe da dire erano?) un laghetto turchese e
profondo, contornato da un bosco fitto di rughe che sorridono. Ma gli occhi di
A. sono verdi con delle fiamme nocciola intorno alla pupille e delle ciglia
talmente lunghe e curve che gli sbattono contro le lenti degli occhiali. Una
roba da stare lì e accontentarsi di essere guardati. Nei giorni in cui lo
facevo, l'anno scorso, Bungaro cantava al Festival di Sanremo un paio di versi
che mi avevano dato su un piatto d'argento una bella citazione per un sms per
lui: "Guardastelle guarda è un cielo di fiammelle è un cielo di
fiammelle..."
Ho amato due persone, forse tre. Lui è nel gruppetto. L'ho amato anche perchè
siamo uguali, nel nostro misto di purezza lirica alla ricerca di Quello Per Cui
Vale La Pena Aspettare Una Vita e di fisicità animale da sfogare col primo che
passa. Io però ho 11 anni in più e forse anche per questo sono riuscito e
riesco a governare la seconda per permettere alla prima di indicarmi e di
seguire la strada. Lui, invece, ancora oggi non riesce completamente a collegare
entrambe alla sua sessualità e si vede ancora dalla "parte sbagliata"
(...e mollali 'sti preti!). Qui era nato lo scontro in lui e fra noi.
Ho riattaccato da pochi minuti, dopo quasi mezz'ora di telefono. Mi ha chiamato
dopo aver ricevuto una mia risposta un po' così. A. 'ste cose le fa.
Nelle notti di maggio non può bastare sapere che sopra il mio cimitero di
elefanti ci sono anche cieli di fiammelle. Però quando mi capita di alzare gli
occhi e di vederli è come se ci fosse qualcuno che sotto braccio mi porta a
letto e mi rimbocca le coperte. Riabbasso lo sguardo, mi giro e non c'è
nessuno. Solo la mia voglia di mare e di cioccolato e questa canzone che sono io
e il mio modo di amare, oltre l'amore che (non) ricevo. Solo io, io e questa
canzone che mi accompagna a letto in una notte di maggio, molto diversa da
quella in cui tanti anni fa sono nato.
Mio fratello che guardi il mondo
Ho scoperto Ivano Fossati una calda sera di luglio.
Scoprire ...in realtà riscoprire sarebbe più giusto, dato che alcune sue canzoni erano già passate dentro di me assai prima di quel tempo, senza
che io le degnassi della giusta considerazione. ERA UNA SERA DI LUGLIO DEL 1999...una sera di sagre e folkfestval nella provincia,
nell'entroterra, di cui si gode (purtroppo) solo in sparute occasioni... era una sera
d'estate, estate fatta di servizio civile, di un amore lontano, tanto da sembrarti impossibile, era poche ore prima di
un esame importante di cui
non ti riesci a liberare... credo che non scorderò mai, il momento dell'attacco di mio fratello che guardi il mondo... è stato uno di quei
momenti in cui qualcosa si accende dentro di te, un brivido che sale dietro la schiena, come quando baci per la prima volta una persona che sai
che amerai o abbracci un amico fraterno... quella notte ivano fossati aveva preso un posto diverso , usando solo la dolcezza assoluta, il
respiro profondo di poche note che hanno continuato a girare nella mia testa tutta quella notte, per giorni ,mesi a seguire, senza che mi
interrogassi sul senso di quella canzone, senza sentire il bisogno di darle
un significato....
...oggi che so il messaggio di amore, solidarietà, fratellanza che ne fa parte,
quell'attacco mi regala sempre lo stesso brivido, la stessa....
meravigliosa leggerezza....
Una notte in Italia
Niente tagli di luna stanotte, solo nuvole, grosse e
veloci, che corrono forte e davvero, davvero enormi.
La fortuna di vivere adesso questo cielo sbandato, illuminato a giorno da
..lampi.. che abbagliano gli occhi della fortuna, senno’ che ci sta a fare appesa al cielo.
Alla fortuna, nell’attimo del lampo, si vede la faccia, e...
uh... che lineamenti lunghi ha. La fortuna porta i semi del futuro, non
c’e’ vento che possa spostarne cosi’ in la’
le preoccupazioni: il futuro che piovera’ a scravasso fra poco e’ un
vino bevuto da soli... come ogni pioggia che si guarda dalla finestra.
Una notte in Italia, la vedo, la sento.
Di notte, affacciarsi alla luna ci sposta dove vorremmo essere, ci
malincotrascina addosso chi speriamo stia condividendo lo sguardo su quel nostro
punto del cielo ...che’ tanto e’ nero da non poterci richiedere precisione:
basta che anche l’altra persona stia tenendo la testa un poco in su e il sogno
e’ fatto. Va, fatto. Questa notte di tempesta fa vorticare la mia girandola
nel vaso, stridente qui sotto il
mio incrocio di braccia gelide mentre inspiro, l’aria del beltemporale che
arriva da est. “Una notte in italia” da far girare nel buio dietro di me
perche’ mi arrivi alle spalle, capace di lenire il bisogno di un abbraccio
grande in cui potersi riparare dalle lame fredde che ti fan male come uno
..qualunque.
Sul mio divano e’ un cuscino particolare, Quello. A ben guardare ne ho molti,
altrettanto belli, morbidi e profumati, che mi
Sono sensazioni che ti conoscono troppo per lasciarti nascondere, che luminano
sullo specchio l’istante in cui ti guardi e ti vedi sul serio, poi piu’.
Esattamente come ora, mentre il basso ruggito avvisa del prossimo precipitare,
aprono la bocca i lampi che scagliano nel cielo i lineamenti della fortuna,
questa stranafalce che come tutti.. cerca di copiare l’amore e non e’ che
Deve.. lei VUOLE imparare. Chissa’ se ha fiato.
Labile
La distruzione di un amore, del tuo amore. Non era un
amore qualunque, sembrava
Invece no e dovrai ripercorrere strade per le quali pensavi che non saresti
Sono loro che mi hanno insegnato le d’ivan/divine parole, senza averle mai
sentite alla radio ... e piano piano ho imparato a conoscerle, ascoltarle ..
anche cantarle...
Questa canzone... l’ho ascoltata per la prima volta suonata da G., e mentre
accordava mi guardava. sapevo che senza poterlo fare davvero voleva dirmi:
questa è per te, per te e A.. ascoltala, e se hai voglia piangi E’
iniziata...
Ho capito al volo che mi stava facendo male poi Andrea ha cominciato a cantarla,
sentivo la sua voce e le parole catastrofiche
perchè troppo vicine a me e a tutto quello che stava succedendo... e mi sono
dovuta alzare, inventandomi qualcosa da fare... sono andata in camera da letto,
porta aperta. mi sono sdraiata al buio e gli ho ascoltati...
sì, ascoltai per la prima volta tre sue canzoni che non fossero «la mia banda
suona il rock» nel 1984, durante il tour di «scacchi e tarocchi» di de
gregori, le canzoni erano «ventilazione» e «la costruzione di un amore» (con
certezza) e, forse, «panama».
mi colpì, mi restò dentro quel «...spezza le vene delle mani, mescola il
sangue col sudore, se te ne rimane...» e a 14 anni quando cominci a provare le
tue prime gioie e le tue prime delusioni sentimentali, delle parole così dure,
forti, ti creano delle tempeste...
dico a me stesso «non posso ascoltare solo finardi o guccini o de gregori!
‘sto fossati mi piace...»,
allora stavo da quasi un anno con l’unica ragazza con la quale abbia superato
i dodici mesi (cinque anni), innamorato su tutti i fronti, perso, rimbambito,
innamorato di tutto quel che mi dava...
un amore nato fin troppo facilmente, un trovarsi casualmente una sera e
rivedersi non troppo casualmente, la confessione reciproca che «casualmente»
facevamo in modo di incontrarci in quell’estate, a frequentare gli stessi
posti dell’altro...
trovo, non ricordo dove (forse nella macchina di una mia amica), una raccolta di
ivano, «me la presti?» «ma certo!»
una sera non troppo felice, in macchina, metto la cassetta e le faccio ascoltare
«la costruzione di un amore» e lei dopo metà canzone mi fa «toglila, è
triste...»
...perché il nostro amore per essere costruito non aveva avuto necessità di
spezzare vene, di mescolare sangue e sudore, non era un castello di
sabbia, non c’era stato dolore in quella costruzione... il girasole era
cresciuto grande bello e forte dall’oggi al domani... e i piani con i paradisi
da consumare erano infiniti e più si saliva più ci si avvicinava al cielo per
anni... così accantonai di nuovo la musica di ivano...
poi quella meravigliosa storia d’amore finì, colpa mia, colpa sua... mah...
fatto sta che a distanza di poco tempo ritrovo la musica di ivano, non se
casualmente o volontariamente, vari episodi che mi avvicinano a lui, un filmato
del tenco di non so quale anno, un concerto in televisione (non ricordo quale
tour fosse), il disertore alla radio, un amico (finalmente) che scopro ha il
volume due dal vivo e mi ci butto addosso...
era il gennaio ’99 (e mi vergogno un po’ del mio essere così fresco) e da
quel giorno la sua musica e le sue parole non sono più uscite dalla mia testa e
dal mio stomaco, il resto è storia recente...
Il giorno promette, molto spesso. La notte non
mantiene, quasi sempre.
Sono a Firenze per lavoro, a cena con tutta la compagnia, gente simpatica,
famosa, persino divertente.. sono sola! Butto giù un altro bicchiere di vino
che mi aiuti a non vedere, guardare é già abbastanza.
Sono ubriaca, forse sto barcollando, ma chi se ne frega, dal momento che non me
ne rendo conto, posso ben convincermi di camminare dritta, del resto, non ho
altri a cui dover dare delle spiegazioni. Ottimo vino però, almeno domani non
avrò mal di testa. Guidare é un problema, non per il vino, a quello ci sono
abituata, ma per il costante, delirante desiderio che un tir mi travolga, così
non dovrei più preoccuparmi di dove ho messo le chiavi di casa... “sei sempre
così disordinata!”
Però quanto é bella Firenze! Se solo fossi di buon umore! Parcheggio, scendo
dalla macchina, sto´ barcollando ancora, non riesco più a non accorgermene,
“cerca di non cadere, sarebbe davvero umiliante!” Chiavi, toppa, infilare la
chiave nella toppa...quale era la chiave del portone? … “Sei sempre così
distratta!”. Entro nella mia bella stanzetta in affitto, mi avranno sentito
rientrare anche quelli del palazzo vicino, peggio per loro! Bene! Ora sono sola
davvero, e sono ubriaca, ma non mi basta ancora, perché il mio dannato cervello
continua a dirmi che sono molto peggio di così, e allora bevo ancora, senza
bicchiere, dalla bottiglia, perché non ho
piú le belle facce per bene che vivono nel mio mondo e lo infettano
intorno, sono sola...sola, sola! “Te lo meriti, sei sempre così...così”
“...così cosa? Come cazzo sono io e perché? E perché non piango? Ho un
disperato bisogno di piangere...perché non ci riesco?” Sul comodino chi
abbiamo? H. Hesse: “Il coraggio di ogni giorno” … no per carità, non
voglio rimproveri stanotte! Musica.
Chi c´è nel lettore? I. Fossati “Buontempo”...e sia.
Terra dove andare…dove scappare, caso mai, avessi almeno le scarpe adatte a
camminare! ...chi si guarda nel cuore...? dici bene tu, ma chi ha più il
coraggio di farlo?! La luna non c´é, ne intera ne tagliata. Buontempo…per
chi, certo non per me, che peggio di così non potrebbe essere.
Mio fratello guarda il mondo, che non lo guarda e non vede me! ...Il
dolore passerà...non prima di essermi passato sopra, l´amore vola, il mio ha
perso le ali...”´fanculo Ivano, questa volta non mi aiuti neanche tu! Ecco
bravo suona non parlare, che è meglio così.. questa sonatina è breve troppo
breve, peccato, mi piaceva. Hai qualcosa di intelligente da dire ora? Bada bene,
sono di pessimo umore e non riesco a piangerne.”
“… Siamo stati naviganti, …” ...c´é sempre un tempo giusto per ogni
cosa, per vedere bene e per ascoltare...e quella sera era il mio tempo. Per ore
ho ascoltato quelle parole che conoscevo distrattamente, per ore ho parlato con
quel mio caro, carissimo vecchio amico, lontano da quella stanza, ma non da me,
e a poco a poco le scarpe non mi face vano più tanto male, timidamente ho
ricominciato a guardare nel cuore e ci ho visto sorgere una pallidissima luna,
certo il tempo non era buono, ed il dolore non era ancora passato, ma passerà,
dovrà passare, lo faremo passare! Si tornerà a volare…finalmente piangevo!
“Grazie al cielo, grazie a te,
perché se in questa notte senza luna non avessi pianto, domani, all’alba
avrei odiato il sole e ancor di più me stessa per non aver avuto pietà di me.
Grazie perché sei stato il libro che lascerò cadere e che mi ha aiutato a
capire. Grazie perché domani rammenderò le vele e riproverò a navigare nel
mio mare, a volte, così solitario, ma tanto bello e se c´è un po’ di vento
buono, riuscirò ad allontanarmi da questa notte nera nera!”
Il perché stessi tanto male riguarda solo me, la mia vita e non sarebbe
altrettanto importante per voi, ne potrebbe in alcun modo aggiungere valore (se
poi ne ha) a tutto quello che, fin qui, ho scritto, perciò non vogliatemene
male se non l´ho neanche accennato.
Fossati è stato il terzo autore che ho
conosciuto, più o meno a 14 anni (fra qualche giorno ne avrò 25), qundo mi
capitò in casa una cassetta di “La pianta del te”. Questo è il disco che
mi ha aperto gli occhi alla sua musica e le sue parole, ma solo dopo poco tempo
Discanto mi ha letteralmente travolto e segnato.
Tra tutte le canzoni scelgo “Italiani d’argentina” perchè credo che sia
la prima canzone di Ivano che mi abbia fatto commuovere. Più in la ce ne sono
state altre anche più intense (Lindbergh, Sigonnella, La costruzione di un
amore, la scala dei santi...) ma questa è stata la prima.
Mi ha colpito la drammaticità della distanza (ricorrente in molte sue canzoni,
come anche quella del “distacco”) che ha reso perfettamente, come se fosse
un film senza le immagini, che riesce a coinvolgere ed emozionare anche chi (a
15 anni) degli emigranti non sa un gran che, richiamando immagini e momenti che
forse si può provare anche se non si è emigrati mai, senza aver “navigato
mai”.
E un po’ a malincuore mi accorgo che spesso vivo come una persona che per
riuscire a stare a galla è costretto ad andare (e restare) lontano dalle
proprie passioni e ambizioni, ma che mantiene costantemente lo sguardo nella
loro direzione, sperando di riuscire a vederle lì ferme, da lontano.
Sperando un giorno di riuscire a invertire il corso delle cose. E
ritornare.
Amore a primo ascolto, la canzone che da’ il titolo all’album mi ha
entusiasmata. E’ una canzone leggera (e’ tutta musica leggera), con un testo
a tratti banale nella sua semplicita’, ma mi colpisce ogni volta, mi fa venire
voglia di alzarmi ancor piu’ di “alzati che si sta alzando”. Come potrete
immaginare non e’ il senso complessivo del testo ad avermi colpita, ma alcune
parti, alcune parole e, moltissimo, la musica. Mi sembra il lato ottimista di
“e di nuovo cambio casa”, un modo di guardare ai cambiamenti, al futuro, con
la voglia di viverlo, con la consapevolezza di poterlo maneggiare e modificare.
Questa musica allegra e in crescendo che accompagna i futuri (daremo, staremo,
ricorderemo, ricorderemo) della prima strofa fa “pensare positivo”, la
descrizione delle possibili difficolta’ seguita dal ribadire dei futuri e’
esaltante.
E poi alcune perle come “nessuno vorra’ farsi apparire in sogno un avvocato
conservatore” oppure “la polizia conserva foto di tutti e Dio lo sa cosa le
tiene a fare” alla faccia di chi non considera Fossati un autore schierato. E
ancora, in fondo, il “daremo aria” che diventa “daremo fuoco” che dice
tutto sulla voglia di ribellione, a perpetuare un gioco che io ho imparato con
De Andre’, il ritornello che cambia solo l’ultima volta per imprimersi nella
testa e sottolineare una svolta. Si, perche’ nonostante l’ossigeno che ora
ci danno (quell’ossigeno che serve a vivere, a respirare ma che e’ anche un
ottimo anestetico) noi, che non usiamo abiti scuri, daremo fuoco a queste stanze
e lo faremo presto, addirittura prima di Natale, perche’ vogliamo tornare a
respirare alla vecchia maniera.
Del Fossati scelgo un pezzo il cui significato ho
modificato, nel tempo, probabilmente troppo. Ma riprende una situazione
vissuta e sudata (probabilmente troppo…) e dopo tutto - anche - a
questo servono le canzoni: le impugnamo per spiegare, per buttar fuori… senza
esporci.
Capita che ci si restringa la vita ad un cortile; quando poi vi si scontrano
correnti - quelle del bel mare, la vita appunto - la posizione che assumiamo
e’ di starcene in mezzo, al cortile, proprio al centro dei vortici e delle
calme di vento. Nella luce radente di un pomeriggio strano, il caso ci fa
capitare da una parte. I capelli non lo tradiscono, eppure l’uomo che
osserviamo di qua della staccionata - non ci azzardiamo ad entrare -
avra’ una quarantina d’anni. Dovendogli stare distanti, riusciamo ad
intravedere di piu’: aspettando che arrivi la sua domenica, si parla e si
ascolta, convinto d’essersi
Vorremmo poterne superare ed aprire lo steccato... Chi venisse a prenderlo
vedrebbe il bel mare, ne siamo abbastanza sicuri. Sempre che cio’ che e’
triste non vinca… l’uomo che s’e’ seduto a
mettere i numeri in colonna.
Ho iniziato ad ascoltare seriamente Fossati
quando usci’ Discanto... lo conoscevo gia’ prima e avevo qualcosa di suo
registrato sulle cassette regalate dagli amici, ma e’ stato Discanto a farmi
entrare veramente in sintonia con il nostro e, da allora, a non farmelo mai
piu’ abbandonare... Nel fare mia ognuna delle sue canzoni faccio mia una
storia, una storia in cui si parla di noi, e in quel noi appunto ci sono anche
io, e mi ci trovo benissimo...
Naviganti l’ho sentito per la prima volta dentro il primo volume dal vivo...
Buontempo, me lo registro’ su cassetta una mia amica... in uno dei periodi
piu’ importanti e fertili della mia vita, quando perdevo certezze e stabilivo
dubbi...
Amo Naviganti perche’ parla dell’amicizia e della fatica che si fa a
crescere e a capire un po’ di piu’ del mondo senza tradire se stessi... non
siamo noi a scegliere la vita ma e’ la vita che sceglie noi, in questa
verita’ (che non e’ rifiuto della propria responsabilita’ badate bene)
c’e’ tutta la casualita’ del ritrovarsi qui ed ora, tutta la fragilita’
delle nostre vite che faticosamente costruiamo pezzetto per pezzetto, tutto
l’amore che riceviamo e che doniamo, tutto il senso appunto del nostro
navigare...
Amo Naviganti perche’ racconta in poche immagini quello che vuol dire
vivere...
Amo Naviganti perche’ mi ricorda di come certi libri siano importanti...
Amo Naviganti perche’ anche a me basta un filo di vento per continuare a
navigare...
Confessioni di Alonso Chisciano
Adottare una canzone di Fossati? una? mi pare
difficile;.sono almeno 10 le imprescindibili, quelle che, parafrasando l’amato
Berthold Brecht, durano tutta la vita. poi mi godo le prime recensioni, e ancora
le successive intense, appassionate, ma soprattutto vissute. così mi decido:
adotterò la canzone che più mi rappresenta, quella che pare fotografare il mio
cammino, la mia anima, il mio mondo; è un po’ come per il mio soprannome qui
in ML, gourmet cinico e disincantato, meridionale cosmopolita e tradizionalista,
implacabile lettore e altrettanto implacabile incendiario di tonnellate di
libri, prigioniero politico marxista e killer della C.I.A., che rappresenta a
tutt’oggi il mio ideal-tipo di riferimento e la mia religione privata.
parimenti il cavaliere Alonso Chisciano, il suo confessare debolezze e orgogli,
il suo amare fuori dagli schemi, la passione quasi misantropizzante per i luoghi
della sua memoria, l’inspiegabile custodia di (in)utili feticci del passato,
l’ironico e disilluso rapporto con follia e morte, il pudico ma implacabile
rifiuto per ciò che è normale, mediocre, la fiera accettazione della propria
debolezza e del proprio destino, mette in scena la mia vita;
allegoricamente, è ovvio che la mia condizione di 30enne panzuto e
occhialuto non si confà (non istantaneamente) all’immagine di un paladino
medievale o giù di lì.
Stasera, riascoltando quasi tutta la produzione
musicale di Fossati (quella in mio possesso) ho ricostruito le tappe della mia
passione per questo autore. Non è di quelli che ho trovato in casa, ma in casa
un minimo di curiosità nei suoi confronti c’era. In tempi non sospetti
acquistai a prezzo stracciatissimo, con una di quelle ditte che ti mandano i
dischi a casa Lindbergh, assieme ad Us di Gabriel ed Acustica
di Finardi. Gridai al capolavoro, penso che sia il disco di Fossati che ho
consumato di più, in un’età forse troppo giovane per amarlo a fondo.
Successe qualche anno più tardi, infatti, che m’invaghii di un fanciullo
romano incallito ascoltatore (ma pessimo suonatore, solo a ottobre scorso,
sentendole suonare da P. ho capito che le canzoni di Ivano con la chitarra si
potevano suonare bene) e così, per non essere da meno, mi “documentai”. Il
fanciullo lo persi di vista, ma la passione mi rimase, anzi, dopo il suo
allontanamento crebbe anche di più. Poi venne Macramé ed il mio primo
concerto, a Ravenna, alla Festa dell’Unità, 12 settembre 1996, un freddo
boia, all’aperto. Mi ricordo il sorriso di Mario Arcari e la sciarpona di
Beppe Quirici, mi ricordo la scenografia con le ombre cinesi, con gli angeli che
volavano durante l’esecuzione de “L’angelo e la pazienza”e l’aereo che
calava giù per Lindbergh. Poi La disciplina, ed il relativo
concerto, lo scorso anno, vissuto male perché troppo vicino ad un litigio
“per tanto amore”, le lacrime nascoste su “La volpe”, perché l’amore
aveva smarrito la strada.
Ma se penso ad una canzone di Fossati che sento mia penso a “I treni a
vapore”. Di stazione in stazione e di porta in porta, di pioggia in
pioggia, di dolore in dolore, il dolore passerà ....
Ascolti ripetuti meccanicamente di canzoni, per non pensare, stesa su di un
letto,
poi la mente si ferma e rimane colpita da una frase e la ripete, meccanicamente,
fino all’ossessione, fino al convincimento “è così, dev’essere così,
il dolore passerà ...”
La ragazza un giorno riceve in dono da una persona che poteva capirla, ma la
conosceva poco, uno strano disegno, ne fa una copia e lo incolla su un grande
cartellone colorato, che arricchisce con alcune frasi, al centro questa. Decide
di portarlo in un posto lontano da dove abitava e di regalarlo a due donne che
“le avevano ridato la vita”.
La ragazza pensa e spera ( e crede fortemente, ostinatamente) che un giorno
tornerà “di stazione in stazione “ in quel luogo, mano nella mano di chi
l’amerà ed aspettando l’arrivo di una nuova vita lo leggeranno, si
guarderanno e sorrideranno.
La volpe
L’ombra che sembra conosciuta ma nasconde
l’imponderabile mi guarda da lì, da vicino ma non troppo, da distante ma ben
visibile. Non mi fa paura, mi sono lasciato incuriosire ed appassionare,
talvolta illudere, ..... a volte ho imparato a dimenticare, ho conosciuto la
disillusione... Ma quell’ombra è importante, luogo di sogno e di fantasia, di
slanci del cuore e di corse affannose, di luce che allude e di nebbie fitte e
malinconiche. ... è lo spazio fra desiderio e realtà, è la speranza di
trovare una presenza viva, accendere un contatto,.. è la consapevolezza delle
fugacità e delle precarietà, è ogni rapporto appeso al filo sottile del
cambio di stagione, al filo esposto alla lama dell’inverno.. è la nostalgia
di una nenia che ripete sempre per due volte ogni frase, ..e poi la forza di una
voce fiera di donna ad intrecciare la trama del canto.
L’ombra è un ricordo lontano ma vivo, lo chiamerò C., è la sua voglia di
capire il mondo, e la sua voce insistente e le sue mani incerte, e il suo passo
un po’ ondulante e il suo profumo dolce... e la sua ansia di non fermarsi.
L’ho perduta ancor prima di abbracciarla fino in fondo, l’ho perduta mentre
le accarezzavo i capelli. E’ andata via, senza dire una parola, senza un
frusciare di foglie, in una notte di malaluna. Di me le è rimasto forse solo un
biglietto, che diceva così:
Che sarà quell’ombra in fondo al viale di casa mia?
Tra lo stupore ed il timore, scorgo qualcosa (qualcuno?) che si profila, in
lontananza. “Sarà il mio amore che ha trovato la strada”, ma è solo un
tentativo di trovare una risposta sensata; è una risposta che svela certamente
una segreta speranza, ma plausibile. Invece no. Il mistero racchiuso dentro
quell’ombra rimane; oserei dire che deve rimanere, non può che rimanere.
Quell’ombra è l’ultimo luogo rimasto per far vivere la fantasia, per far
correre veloce il desiderio, sulle orme
Ricordo del giorno in cui acquistai MACRAME’.
Un mio amico musicista mi disse “Va comprato oggi, il giorno stesso
dell’uscita, perché questo disco sarà una pietra miliare e noi saremo come
quelli che il primo giugno del 1967 comprarono il “Sgt Pepper...” dei
Beatles”. Aveva avuto molto naso, come al solito.
Mi ci è voluto molto tempo prima di entrare nello spirito di MACRAME’, direi
un paio d’anni. Era il mio primo disco di Fossati, del quale conoscevo solo
(pensa un po’) la canzone “La mia banda suona il rock”. Alla fine sono
stato conquistato. D’estate mi portavo la cassetta dappertutto, quando ancora
andavo in vacanza con i miei genitori. Avevo 16, 17 anni. Mi ricordo quelle
canzoni in giro per la Sicilia (“...io t’ho guardato abbatterti e salire /
abbatterti e salire / e accenderti finalmente / come le luci di un ponte / in
mezzo all’estate / in mezzo all’estate..”), o per la Croazia interna
(“..Ci sono luoghi dove il bisogno di violenza / è molto più forte della
volontà..”), o anche di notte, prima di andare a letto.
Mi affascinavano, musicalmente, alcune cose: il pianoforte all’inizio di “La
vita segreta” e quello di “Stella benigna”, l’organetto di Tesi, lo
stick di Levin nell’”Abito della sposa”, la presenza di Arcari, molto meno
determinante rispetto agli altri dischi ma non per questo meno importante, le
ritmiche di Gurtu.
E poi i suoi testi, senza esagerare, mi hanno cambiato la vita. Mi hanno aperto
un mondo fatto di parole, di suoni/parole, di immagini bellissime; il discorso
di Fossati sul Tempo e sull’Uomo mi hanno spinto a scrivere poesie e altri
testi, mi hanno costretto a pormi delle domande, a mettere in discussione me
stesso.
Forse la canzone che più mi smuove le acque è questa: L’ANGELO E LA
PAZIENZA.
A dire il vero non l’ho mai ben capita. Ma certe immagini sono talmente
potenti che il voler comprendere tutto a pieno mi pare un esercizio inutile e
poco importante. Una per tutte, questa: “...C’è un trionfo di stendardi /
dove termina il dolore / e dopo centomila ore / non c’è un minuto di più...”.
Una canzone d’amore! Io mi soffermo a pensare, e mi rendo conto che
Questa non è un’adozione di discanto da
parte mia; discanto ha adottato me, che
Il fascino di questa canzone è che colpisce il cervello come un asteroide
Una notte in Italia
Sono passati più di 12 anni da quando ho
‘ascoltato’ per la prima volta la musica di Ivano Fossati. Era il periodo in
cui ci si trovava sotto il campanile della chiesa del paese, per decidere dove
passare la serata, con circa 10, 20 o 30 persone, a secondo di chi passava di
la’.. Tra queste persone ce n’era una per me particolare.. era un ragazzo un
po’ riservato, taciturno, ma molto interessante.. Facevo di tutto per salire
sulla sua macchina. Le note che provenivano dalla sua autoradio erano quasi
sempre canzoni di Fossati. Aveva l’intera discografia. Gli altri si
lamentavano perchè “..non sono certo canzoni da ascoltare il sabato
sera..”, ma lui non se ne curava.. Così ho cominciato ad apprezzare quella
musica.
Siamo poi andati in ferie assieme ( nel frattempo eravamo diventati ‘morosi’).
L’album del momento era “700 giorni”.
L’abbiamo ascoltato un’infinità di volte.. Passavamo ore a cercare di
capire il significato dei testi delle canzoni e in particolare ricordo la sua
spiegazione di “Una notte in Italia”. La canzone inizia in questo modo [...]
la fortuna di vivere adesso / questo
tempo sbandato / questa notte che
corre / E IL FUTURO CHE ARRIVA / CHISSA’ SE HA FIATO.
E si conclude così: [...] che è poi la fortuna di chi vive adesso / questo
tempo sbandato / questa notte che corre / E IL FUTURO CHE VIENE / A DARCI FIATO.
“Alla fine della canzone viene proprio voglia di respirare profondamente e
A pensarci ora, non ho mai saputo come lui aveva cominciato ad ascoltare la
musica di Fossati.. stasera quando torno a casa glielo chiedo, dato che l’ho
sposato!!! La nostra storia insieme è passata attraverso tutte le canzoni di
Fossati, da “La costruzione di una amore” della quale mi diceva che il
nostro stare insieme non gli “spezzava le vene delle mani”, a “La volpe” ascoltato
come inno propiziatorio prima delle mie gare a pallavolo, e ancora da
“Discanto” del quale volevo fare ( e spero che in un futuro riusciro’ a
fare ) un quadro/manifesto, a “Confessioni
di Alonso Chisciano” dove la frase “Ah,
Ognuno fa tesoro della propria esperienza e l’ultima cosa che voglio fare ora
e dipingermi come un calimero solitario pronto ad autocommiserarsi, ma.. Diceva
qualcuno: “Il piacere che l’amore offre non dura che un momento, la
sofferenza che ne può conseguire dura tutta la vita”.
Tu non mi ami più. A me non resta che affliggermi e rifugiarmi nel sogno. Ecco
perchè l’Amore vola, vola e noi poveri pazzi non possiamo che crogiolarci in
congetture e ipotesi persi nell’universo della nostra pazzia. Folle infatti è
colui che ama, poiche’ questo sentimento non accetta regole e non accetta
restrizioni razionali, vuole tutto e non accetta mezze verità. Ora mi trovo
solo davanti ad una realtà apparentemente lontana ma tanto vicina da
coinvolgermi in pieno. La solitudine che provo non potrà mai essere colmata se
non da altro amore più vivo e più forte. Ognuno ha il diritto di provare ad
escludersi da tale destino, ma raramente questo serve a qualcosa.. Le amicizie
possono servire ma spesso la festa dell’altro e la gioia altrui non riesce a
farsi sentire dal mio cuore affranto. Gli altri sono lontani, non vogliono
capirmi e comunque pur volendomi bene non potranno mai comprendere la mia
disperazione.. Ho provato a nascondere questa verità anche a me stesso,
nascondendo le carte davanti i miei stessi occhi e ho finto di amare con la
stessa forza del tempo in cui tu eri vicino a me, ma la realtà ha preso il
sopravvento e soffro più di prima. Ogni pensiero razionale sprofonda nei miei
sentimenti e l’unica idea che mi porta avanti e mi spinge ancora a vivere è
la speranza che tu ritorni. Questo
pensiero continuo e assillante mi accompagna il giorno e la notte consumando la
mia vita come un tarlo.. Solo dentro di me troverò la forza di uscire da questa
storia e il coraggio di andare avanti e continuare ad amare.
È terra compagni, è
terra
Com’e’ strano (e bello) trovarsi
in un paese che ha avuto negli anni settanta quasi due anni di anarchia(!!!).
terra secca da guardare / buona per camminarci sui ginocchi / e per pregare.
E vedo gente e c’è lavoro / e non sono giardini, è terra / occhi
che hanno visto terra / e terra d’oro
e sono nasi, bocche, piedi trascinati / fra tovaglie di pizzo / capelli
sempre spettinati.
Sembrano distratte eppure non perdono di vista i bimbi che giocano per strada
con un bastone e un vecchio pallone un po’ scucito. Bimbi con occhi da grandi,
gia’ abituati a quel vento che non manca mai, che ti accompagna ovunque, anche
nei vicoli piu’ nascosti delle citta’.
Salite soprattutto, non ero abituato!
La nostra bella signora ha un nome e un cognome.
Riuscire a dirsi molto con poche parole. E ridere. E capirsi. E sentire che la
distanza non e’ affatto atlantica. Cosi’ lontani, cosi’ vicini. ...ora
qualcosa sappiamo di te!
”Facce di muta cera”: sono esattamente
cosi’ gli abitanti di quelle terre. Sembrano non accorgersi di cio’ che
accade ma se stai attento li scopri a sbirciare quei tramonti che quaggiu’ da
noi nessuno vede piu’.
E vedo gente e c’è lavoro / e c’è sempre vento in strada ad
aspettare / noi che siamo qui a vedere e a camminare / e nel nostro viaggiare /
e volere ricordare e toccare e camminare / in questa smania / dimentichiamo
posizioni, rotte e nomi / e siamo piccoli, stupiti viaggiatori soli / e tutto
questo vento intorno invece.. È Lusitania
Il resto e’ ancora dentro di me, non so
raccontarlo. Se mi guardaste bene dritto negli occhi forse potreste vederne uno
scorcio. A chi c’era anche senza aver navigato fin laggiu’.
Il talento delle donne (Time and
Silence)
Oggi quella raccolta non l’ascolto quasi più (se non in macchina), perché
sentire un album intero dall’inizio alla fine è infinitamente più bello,
tranne però che per quella canzone che ritrovo solo lì. Il talento delle
donne mi piacque da subito in modo particolare, e alcuni versi, come “io
che sognavo e ti sognavo/ credendo di pensare” o “meglio un ergastolo
sentimentale/ che la vita innaturale senza te”, che mi si sono impressi nella
mente in maniera indelebile.
Come per moltissime canzoni di Fossati, faccio fatica ad afferrare il senso
complessivo del testo (ma forse questo è proprio uno dei motivi per cui, ancora
al milionesimo ascolto, le sue canzoni sono così stimolanti...). Per certi
aspetti la vedo un po’ come la risposta a La musica che gira intorno,
quindici anni dopo, un guardare al mondo da un altro punto di vista, più
positivo e rivolto al futuro anziché al passato (e forse non è casuale che
nella raccolta siano messe vicine, rispettivamente come prima e seconda
canzone). Al posto degli uomini per niente facili di allora, con le mani e le
facce di chi non fa per niente sul serio, qui troviamo donne sperdutamente amate
dal talento naturale, che con innocenza puniscono per le cose non avverate, ma
con un coraggio, anch’esso “naturale”, non invocano alcun miracolo.
L’uomo che teneva i suoi anni al guinzaglio oggi ha traslocato il tempo che è
già stato e la strada di ieri su cui avresti potuto incontrarlo a patto che non
fosse già rientrato, oggi è tutta accesa, ma difficilmente lo riporterà a
casa, perché fin troppo diritta. Allora c’erano una musica senza futuro e un
muro nella testa degli uomini poco allineati, oggi le sue mani profumano di
gusto di selvatico e nessun pentimento. Insomma, nella mia personalissima
interpretazione: all’uomo per niente facile di ieri, restio ad imparare
qualunque lezione, è venuto in soccorso il talento di una donna senza la quale
la vita sarebbe ormai così innaturale da rendere accettabile persino un
ergastolo sentimentale.
In particolare proprio questi versi “meglio un ergastolo sentimentale/ che la
vita innaturale senza te” mi sono sempre sembrati sorprendenti nella loro
perfetta essenzialità e straordinaria espressività. E, nella mia arbitraria
interpretazione, li ho sempre sentiti profondamente miei. Non l’amore che ha
chiuso gli occhi sul modo e vede solo la persona amata, ma la consapevolezza,
propria di un amore più adulto,
che qualsiasi scelta comporta la rinuncia a tutte le infinite scelte alternative
(da qui “l’ergastolo”, una parola quanto meno insolita da associare al
concetto di amore). Ma l’amore che, conscio della straordinaria ricchezza del
mondo, fa della naturalità con cui fluisce verso la persona amata la sua
continua conferma. Che non risponde a scelte o calcoli di alcun tipo, bensì
alla semplice naturalità delle cose, quasi fosse un amore necessario, e in tal
modo risolve la tensione perenne tra il desiderio di esclusività e condivisione
totale con un’unica persona e quello, mai completamente sopito, di
sperimentare vite diverse accanto a persone sempre diverse.
E’ molto diffusa l’idea che Ivano Fossati sia
unicamente un musicista e, in particolar modo, un autore di canzoni. Canzoni
facili o pesanti, canzoni leggere o colte, canzoni belle o canzoni
nonlesopportoproprio.. Comunque canzoni. E così, sistematicamente, ci si
dimentica che Ivano Fossati è anche lo sceneggiatore, il regista, l’autore
della colonna sonora e l’interprete di un cortometraggio, della durata di
circa 4 minuti, dal titolo “J’adore Venise”.
Un filmato che deve molto alle suggestive atmosfere di film anni quaranta, in
cui in un bar non troppo pulito, da un bancone attaccaticcio, un uomo, duro e
disilluso, fumando un sigaro e bevendo whiskey, fissa una donna altrettanto
disincantata, con cui condividere il freddo e la solitudine di una notte. Però,
senza cadere nella debolezza e nell’illusione
Sì, “J’adore Venise” è prima di tutto un film muto in bianco e nero, che
ci mostra un uomo che conosce bene le astuzie femminili [”un’occhiata da
dietro la spalla so non vuol mai dire no”, molto lontana dal più umano e
modesto: “ma sapere dove andare è come sapere cosa dire, come sapere dove
mettere le mani”], tanto bene da non caderne vittima, tanto bene da sapere di
poter nascondere la propria identità dietro un falso nome. Ma anche la donna,
probabilmente, gli dirà di chiamarsi col nome che lui avrebbe voluto per lei
quella notte... I due si guardano, si riconoscono, decidono di unirsi per
Tra i miei primi acquisti ci sono stati il suo lavoro con Prudente, “Poco
prima dell’aurora” e “Il grande mare” che a suo tempo erano stati
registrati da più di dieci anni. Mi sento molto legata a quei due dischi per
vari motivi, soprattutto perche’ mi piace molto il giovane Fossati con i
capelli troppo lunghi, la camicia inevitabilmente fuori dei jeans e la sigaretta
nell’angolo della bocca, che non badava al modo di presentarsi o all’effetto
che avrebbe fatto. E perche’ si sente molto forte in quelle due produzioni la
sensazione che fare musica fosse uno spasso, sensazione che nei suoi lavori
seguenti ho ritrovato solo nei dischi dal vivo.
La registrazione de “Il grande mare” non sembra sia stato un lavoro quanto
piuttosto un’avventura eccitante; del resto è un album imperfetto. Le voci a
volte suonano come se fossero state registrate da un microfono posto sotto un
cuscino. La tecnica delle registrazione degli anni settanta suona un po’
scadente alle nostre orecchie viziate dai cd ma come molte altre vecchie
produzioni si rimedia a tutto questo con l’anima. Ed e’ evidente che ci sono
arrangiamenti e sequenze che ricompariranno piu’ avanti nel tempo in alcuni
brani di Not One Word.
Oggi abbiamo un Fossati molto diverso, che fa musica molto diversa. Il segno
piu’ evidente lo riscontriamo nel suo voler misurare l’effetto, nella musica
come nella personalità. Ma questo non è un rimprovero: non vorrei fare a meno
delle produzioni nuove, soprattutto quelle di N.O.W. E’ solo che spesso mi
rattrista un po’ quell’impatto che il mondo in cui viviamo porta
inevitabilmente: ci si muove con piu’ cautela, si cerca il momento giusto per
uscire, si misurano i passi e il modo di presentarsi; quel tipo di
specializzazione o di perfezionismo è anche nutrito dal desiderio di
proteggerci. Personalmente non sarò mai indifferente al perfezionismo ma non
riuscira’ mai ad essere cosi’ toccante
come quando l’anima e’ messa a nudo.
Potrei aggiungere alcune situazioni private che venivano accompagnate da questa
canzone che ho scelto di adottare – Riflessione in un giorno di luce nera -
come le notti insonni durante la mia ultima convivenza. Avevo tentato una vita
borghese, con una famiglia nel senso classico del termine - in mancanza
d’altro – insieme a un uomo a cui non volevo un granché bene: fu una
decisione contro la mia natura e per la quale sono stata punita come un
personaggio Shakespeariano, con la conseguente perdita della pace interiore e
ritrovandomi vittima dell’insonnia. Ho passato due anni con al massimo due o
tre ore di sonno per notte. In quel periodo mi sono persino laureata con un
ottimo voto, non ricordo più come: probabilmente i professori avevano avuto
pietà di me. Molte di queste notti che non volevano finire le ho passate seduta
nel buio, spesso ascoltando musica a bassa voce per non disturbare chi dormiva;
spesso ascoltando proprio questo brano, chiedendomi se fosse normale o lecito o
solo possibile scappare via dalla situazione in cui mi ero trovata. Dopo due
anni di dolore ho affittato un appartamento di tre camere, ho preso le bimbe
sottobraccio e sono scappata via: a quel punto
non mi interessava più se fosse lecito o normale avere una seconda chance, era
l’unica scelta possibile.
Potrei anche parlare della mia prima notte nella nuova casa, passata in tre su
un materasso per terra, con i miei libri, tutti ammucchiati contro i muri della
grande stanza, perche’ i mobili li avevo lasciati a lui. E di come quella
notte io abbia dormito stranamente, finalmente dieci ore. E di come il mattino
dopo mi fossi sentita cosi’ grande. Questa non è certo una delle mie storie
più gloriose ma mi ha permesso di imparare che a volte è già qualcosa
riuscire a sopravvivere. In questo senso!
Angelus
Anche per chi era già lì a
sentire-vedere Jesahel, il momento della "scelta" è forse stato un
altro. Prima uomini "per niente facili"
che ti propongono ascolti di venti anni di meraviglie dal Grande mare a
Lindbergh, un po' perché sinceramente appassionati all'autore,
un po' come "collezione di farfalle" , come diceva qualcuno. Ma
hanno avuto il merito di avvicinarmi all'ascolto di parole perfette per
sentimenti, emozioni, realtà accettate o meno. Anche la musica ho amato, ma le
parole ad un certo punto hanno iniziato a camminare con me, nel mio quotidiano,
sempre perfette, lucide, svelanti. Sono entrate nel mio lavoro. A scuola le
parole di Ivano erano nelle mie lezioni di educazione alla differenza, (mio
fratello...) nella preparazione dei viaggi di istruzione a Genova, alle Cinque
Terre ( Montale, Cardarelli, Questi posti davanti al mare, Chi guarda Genova),
nella letteratura del Seicento (Cervantes e Alonso Chisciano), nel mito del
viaggio, con Ulisse, Conrad e Panama. E tutto veniva meglio, più chiaro. La
Disciplina della Terra. Vorrei
adottare "Angelus". Nella versione femminile. Per il suo delicato
"stilnovismo", perché trasforma la donna, la stessa donna, da
immobile a mobile, perché la fa "degna del suo nome" e quindi libera
di desiderare. Beatrice camminava è rendeva muta per l'ammirazione ogni voce;
Angelus è muta come un calendario, come un pianoforte, quindi ha la voce
possente del tempo e della musica, e le parole non le bastano
più. E' adornata e gentile ma non appare come un miracolo in terra, al
contrario: lo aspetta dagli altri. Crede nei gesti e nella passione. Nella
rinuncia al pudore. E le basta una luce, anche piccola.
Il disertore
Fossati è stato il terzo autore che ho
conosciuto, più o meno a 14 anni (fra qualche giorno ne avrò 25), qundo mi
capitò in casa una cassetta di “La pianta del te”. Questo è il disco che
mi ha aperto gli occhi alla sua musica e le sue parole, ma solo dopo poco tempo
Discanto mi ha letteralmente travolto e segnato.
Tra tutte le canzoni scelgo “Italiani d’argentina” perchè credo che sia
la prima canzone di Ivano che mi abbia fatto commuovere. Più in la ce ne sono
state altre anche più intense (Lindbergh, Sigonnella, La costruzione di un
amore, la scala dei santi...) ma questa è stata la prima.
Mi ha colpito la drammaticità della distanza (ricorrente in molte sue canzoni,
come anche quella del “distacco”) che ha reso perfettamente, come se fosse
un film senza le immagini, che riesce a coinvolgere ed emozionare anche chi (a
15 anni) degli emigranti non sa un gran che, richiamando immagini e momenti che
forse si può provare anche se non si è emigrati mai, senza aver “navigato
mai”. E un po’ a malincuore mi accorgo che spesso vivo come una persona che
per riuscire a stare a galla è costretto ad andare (e restare) lontano dalle
proprie passioni e ambizioni, ma che mantiene costantemente lo sguardo nella
loro direzione, sperando di riuscire a vederle lì ferme, da lontano.
Sperando un giorno di riuscire a invertire il corso delle cose. E
ritornare.
Il passaggio dei partigiani
E’ fin troppo facile – mi dico – associare questi anni accompagnati dai
versi di Fossati, con la mia storia sentimentale. In fondo i versi che mi
rimangono dentro sono quelli di Alonso Chisciano, a suggellare la mia dignitosa
resistenza contro l’annullamento dello spirito vitale di ogni anima, oppure i
progetti e le aspirazioni di Lindhberg – contabile di sé stesso. E poi
quell’anima da Jacopo Ortis che ora vuol dire sono amore, rispetto e orgoglio
per la mia parte più sensibile e fragile, che ritorna in passalento o
nell’uomo da solo… La civile inquietudine delle canzoni più apertamente
politiche..
Ho sempre pensato che ciò che mi lega a queste canzoni sia la precisa
sensazione che avrei potuto scriverle io. Qualcuno ha dato ad un altro i mezzi
per farlo e, fortunatamente, il mezzo perché comunque arrivassero anche a me.
Quelle parole sono mie, precise a dipingere la mia anima, come avrebbe potuto
fare un ritrattista fiammingo con il mio volto.
Così mi colpì il passaggio dei partigiani. L’ho scelta anche perché ha una
musica diversa dalle altre, che mi è sempre piaciuta. L’ho scelta perché
dell’ultima (ma qual è mai l’ultima?) guerra, e delle guerra di Resistenza
in particolare, mi ha sempre colpito una domanda: Che fino hanno fatto quelle
persone che l’hanno vissuta? Sono ora quei vecchi incazzati, negli autobus, o
dimenticati da modelli di consumo “giovani”, sono quegli occhi dispersi nei
volti mascherati da vecchi? Spesso quando viaggio in metropolitana e incontro
certi volti mi chiedo se dietro quegli occhi ci sono ricordi di momenti come
quello raccontato nel passaggio dei partigiani. M’immagino che in loro batta
forte quel ritmo e sferzino quelle note, l’immagino giovani impauriti e
decisi. Mi ricordo delle pagine giovanili di Calvino, ultimo viene il corvo o il
sentiero dei nidi di ragno. Forse l’ho scelta perché la immagino come
una canzone dimenticata e invece mi piace avere cura delle piccole cose…
…Non mi è mai venuto in mente di dedicare, al mio nuovo amore, carte da
decifrare. Mi auguro che questo porto sia proprio il mio, il nostro. Io – vele
ancora tese – proseguo il mio viaggio. Un’ultima cosa, me la ripeto
sempre, la ripeto sempre: chi si guarda nel cuore sa bene quello che vuole e
prende quello che c’è.
Se ti dicessi che ti amo
1981... Panama e dintorni... La canzone che chiude l’album. Una delle tante
povere orfanelle, per questa ML.
Non sapevo niente dell’amore, io... Non sapevo che è ferite e pazzia, ponti
che crollano sulla vita e porte irrimediabilmente chiuse, diavolo carceriere ed
aguzzino. Perché non si dovrebbe dire “ti amo”? Io desideravo qualcuno che
non mi lasciasse andare via. Ma i poeti sanno le cose prima di noi. Anch’io
adesso lo so, ora che vorrei andare via e non posso, perché legato da un “ti
amo” un giorno scappato dalla mia bocca, un giorno che, caso per caso della
vita, ho incontrato qualcuno che voleva amarmi, che voleva curare le ferite che
mi laceravano.
Ma ora vorrei aprire la mia porta, spalancarla, scardinarla. Vorrei iniziare a
costuire quel ponte sulla vita per abbondanare questa riva desolata. Ora, ora
che un diavolo maledetto mi lega ad una sedia ormai troppo scomoda. Bisognerebbe
dare sempre retta ai poeti, perché i poeti sanno le cose prima di noi.
Ivano, non so se mai leggerai queste righe, ma ti ricordo una promessa contenuta
in “Per niente facile”: che un giorno avresti ripreso in concerto questa
canzone. Io continuo ad aspettare...
Poi crescono e a volte perdono
questo istinto, vengono distratti da altre cose, più facili. La mia distrazione
è durata quasi trent’anni. Poi un giorno,
il 3 aprile 2000, decido di andare, non so perché, ad un concerto
di Fossati che si sarebbe tenuto al Teatro Accademia di Conegliano. Mi sono
detta: perché no? Proviamo, e
speriamo di non annoiarci troppo. Che pioggia quella sera! E che piccola
rivoluzione è partita per me da quel concerto, al quale ho assistito incantata,
proprio come quando avevo cinque anni. Ne sono uscita stordita, con la
convinzione di aver assistito a qualcosa di assolutamente perfetto, per testi,
musiche, arrangiamenti, esecuzione. Quella sera ho cominciato ad ascoltare la
musica, ma ascoltarla veramente. Ed a conoscere e ad amare i testi di Fossati.
Forse non è un caso che questo sia combaciato con un periodo un po’ faticoso
della mia vita, in cui ho avuto dei problemi di salute. Quando si sta male,
dicono, si acquisiscono certe sensibilità, si diventa più attenti, a se
stessi e agli altri, si recuperano certi valori. Anche perché ci si ritrova
impovvisamente con molto tempo libero a disposizione.
Questa e’ un’adozione un po’
particolare, trascinata qui da quello per cui si parla in questi giorni (11
settembre 2001).
Alcune canzoni ti colpiscono, ti avvolgono fin dal
primo ascolto e ti creano un senso di familiareta’ dopo appena pochi ascolti.
Puo’ succedere che in questo modo ti dimentichi di ascoltare, di cogliere le
profondita’ del testo e ti concentri solo sulla musica delle note e del testo.
Questo deve essere un grande difetto, ma io ci cado volentieri.
La mia adozione non e’ propriamente una canzone di
Fossati. Una canzone che vive con me da sempre, ma che mi si e’
improvvisamente rivelata in maniera obliqua, quasi con violenza, la mattina del 12
settembre, quando mi sono svegliato con le note di “Certe piccole voci”
disco 1 traccia 10: Oh che sara’, che sara’..
Alla luce “nera” di quel che e’ stato tutta al
canzone ha assunto ai miei orecchi un nuovo significato. Ogni parola si e’
impregnata di nuovi significati di ambigue sfumature. E’ diventa la
“colonna sonora” di questi giorni, nei quali sono preso a calci e pugli
da sentimenti di grande intensita’ e contrasto: paura, rabbia,
incredulita’, sfiducia, tristezza ma soprattuto incertezza. Che sara’? Riesci
a capire e a fermare cosa ti gira nella testa e nelle parole? Quello che non ha MISURA
RAGIONE e soprattutto RIMEDIO?
Non vi e’ decenza ne’ tantomeno censura. Non c’e’ governo ne’ vergogna
ne’ giudizio: cosa andranno ad incontrare i nostri destini? In questo
inferno..
So che questa mia interpretazione e’ tanto parziale quanto negativa, ma e’
quello che sento in questi giorni. Nel testo c’e’ ben altro: la natura della
bellezza, l’idea di questi amanti per esempio. Ma il testo vive di immagini
forti, come le emozioni di questi giorni.
La barca di legno di rosa
cioe’ io quando le ascolto le vedo come se fossi al cinema fortunatamente non
succede con tutte le canzoni,ma solo per alcune.. quando l’altro giorno ho
letto e riletto le vostre adozioni.. non so perche’ e per come mi e’ venuto
in mente “La barca di legno di rosa (un gran mare di gente)” ricordo che
quando ho ascoltato per la prima volta questa canzone subito l’effetto
“vedere a occhi chiusi”. e’ scattato, prima ancora di leggere il testo, di
capire le parole.. e’ una canzone che tutte le volte che l’ascolto con
calma, da solo, in certi momenti particolari.. beh.. mi provoca un gran
piacere..
Quando sento e vedo “passa una barca di legno d’ulivo / con sopra un
pescatore e un pesce ancora vivo / e il tempo / l’insegue / il tempo li
circonda / il tempo li dondola e gli fa l’onda...” e’ un qualcosa di
speciale che non mi spiego.. “passa una barca di legno di pino / con sopra un
gendarme e con sopra un assassino / e i loro pensieri sono legati insieme ...”
la musica - le parole - i pensieri - “il tempo tac / il tempo non ci aspetta /
il tempo tac / non ci rispetta..
La musica di Ivano mi provoca delle strane sensazioni e spesso non riesco ad
accettare che mi circonda, non capisce.. anche se poi penso che ognuno e’
libero fortunatamente di ascoltare e pensare come vuole.. A volte pero’
c’e’ qualcuno che pian piano si ricrede.. e insieme.. capiamo al volo.. che
una determinata canzone e’ li’ fatta x noi da ascoltare..
Discanto
E’ questo il bacio sulla bocca il morso d’immortalità il boccone di vento.
Ecco a me piace Discanto per questo. Alleanza ideale, controcanto. Mi sembra un
programma. Una prefazione e una postfazione. In qualunque momento, anche sul
palco, è sempre a tempo. Fossati ci arriva sempre, ci porta sempre il discorso.
Logico e musicale. E’ un filo. Conduttore. Di rame. E’ energia, elettricità,
ioni, sangue.
E di nuovo cambio casa
E’ del ‘79,ma l’ho scoperta tardi,come
molte cose nella mia vita.
Il cane d’argento
Ho spesso letto nella ML (ma esisto da poco)
commenti negativi sul disco “La mia banda suona il rock”. In realtà io lo
trovo divertente (sarà che lo ascolto da quando ero bambino). La canzone che
adotto è compresa proprio in quel disco, ed
è “Il cane d’argento”. Nonostante non sia la canzone più bella di
Fossati l’ho scelta perché al primo ascolto l’ho odiata, con quell’intro
che mi ricordava la musichetta delle comiche di Benny Hill, quel testo criptico
e apparentemente poco ispirato,
Dieci Soldati
Si incrociarono I loro sguardi, la ragazza e le sue due amiche si volevano
sedere sotto le macerie del cinema del paese. Giusto per godersi l’ombra e la
brezza serale che proveniva dalle colline di Gerusalemme. Il ragazzo rispose che
non c’erano problemi, ma aggiunse, se sentite spari o se arrivano sassi, per
favore correte via o proteggetevi. La ragazza piu’ giovane ringrazio’ in
ebraico. Il soldato si stava gia’ girando quando torno’ ad osservare quelle
tre muse arabe ed allora la giovane rispose che era ebrea da parte di madre, il
padre era un diplomatico palestinese ucciso in un attentato a New York dieci
anni prima. “Mossad” aggiunse furtiva, mentre il ragazzo abbassava gli
occhi.
La sera perfetta di primavera era stata forse turbata da quel rapido scambio di
occhi e di parole, ma forse no. La dolcezza del clima, il colore grigio e
argento delle foglie di ulivo che si muovevano all’unisono guidati dal vento
lungo la valle scoscesa verso il villaggio, il canto di un ragazzo dentro un
fornaio. Tutti questi fattori congiuravano insieme
La ragazza piu’ grande continuava a guardare il soldato israeliano, pensava
che era proprio bello, sembrava un attore americano. In quei film che lei non
poteva guardare se il padre era in casa. Il ragazzo ricambiava gli sguardi,
mentre qualche collega lo prendeva in giro che aveva fatto colpo.
La serata stava declinando verso il tramonto, in un cielo terso e colorato come
il velo della madonna dipinta nella facciata della chiesa cattolica davanti al
cinema. La ragazza piu’ giovane pensava a quella suora che le aveva raccontato
come secondo I cristiani, I colori della Vergine sono l’arancione e
l’azzurro, come il cielo del mattino e della sera. L’alpha e l’omega. La
fine e l’inizio, e di nuovo una fine per un nuovo inizio. Invece lei da quando
era nata, non aveva mai visto fine all’odio e inizio all’amore. La bestia
assassina che si era impadronita dei loro cuori, di tutte le anime che il suo
sguardo da adolescente comprendeva, continuava ad esigere un tributo di rancore
e di sofferenza.
Il soldato era stato raggiunto dal suo capo, che, avvicinandosi, aveva fatto un
cenno di saluto alle ragazze. Conosceva quella piu’ grande, perche’ lei un
giorno lo aveva aiutato a portare fuori dalla carreggiata uno dei suoi soldati
che era stato colpito in fronte da un sasso. In quella specie di regola che un
uomo colpito smette di diventare un obiettivo interessante. Un corpo immoto sul
terreno diventa di nuovo qualcosa di santo e sacro, perche’ tocca il suolo
sacro della patria. Come
I dieci soldati del commando si erano radunati attorno al capo, lentamente.
Aspettando istruzioni o un segnale di poter consumare il pasto. Le ragazze si
facevano scappare qualche risatina a vedere quella grazia di Dio davanti a loro.
Come una fotografia di un film di guerra. Dove erano anche attori. Volenti o
nolenti. Attori e prime donne, primi uomini. Erano in quel film di guerra mentre
avrebbero preferito essere in una bella commedia di pace.
I tre si guardarono negli occhi, nel silenzio da pianeta Marte che aveva seguito
il fragore. Sempre cosi’ dopo una bomba. Il rumore e’ talmente forte che per
qualche minuto tutto rimane silenzioso, come se la rabbia avesse portato via con
se il suono.
Si stavano guardando, incrociando gli occhi, stavolta non per flirtare, in una
specie di sogno erotico di appartenenti a razze che si devono odiare per
costituzione, non in un adattamento israelo-palestinese di Romeo e Giulietta. Di
nuovo come nemici, come impareggiabili rivali. Le ragazze temevano che il
soldato le ritenesse responsabili della strage perpetuata dall’amica. Avevano
paura che lui pensasse che loro ne fossero state a conoscenza, o che avessero
altre armi od esplosivo addosso. Lui invece stava pensando al suo cane ed a sua
madre, in California. Al suo desiderio di voler fare il soldato e di andare in
guerra, per difendere la pace, pensava. Memoria, diceva al nonno, ebreo russo
scappato in America negli anni 30. La memoria non deve scomparire. Dobbiamo
ricordare. Eliminare I pericoli per ripartire. Ricostruire, ma prima smantellare
le ragioni dell’odio, trovare i colpevoli.
Pensava al cane ed alla sua collezione di dischi. Non pensava alla morte che
aveva attorno, ma alle migliaia di alternative possibili a nascere, vivere e
morire in quelle condizioni. Guardo’ le due ragazze, si rese conto in un
istante di quello che era successo e si mise ad urlare. Nello stesso preciso
istante nel quale le sirene delle autoambulanze dell’esercito israeliano e
delle autorita’ palestinesi avevano cominciato a farsi sentire. La sua bocca
spalancata sembrava che emettesse quel suono
Le due ragazze si avvicinarono al ragazzo, lui si avvicino’ a loro. Stavano
piangendo. D’un tratto, si abbracciarono con una forza che avrebbe stritolato
un asteroide. Consapevoli della immane tragedia della perdita di otto vite,
nella pur grande e varia molteplicita’ delle innumerevoli variazioni dei
codici genetici di tutte le razze che abitavano l’universo. Ma quelle otto
variabili erano scomparse per sempre.
Le ambulanze ed una torma di persone arrivarono sul luogo dell’esplosione. Ma
quando I palestinesi si resero conto che I morti erano israeliani, tutti se ne
tornarono via. Portandosi le ragazze che piangevano disperate mentre le madri e
le sorelle le staccavano a forza dal giovane soldato. Che fu portato via in
stato di choc in un’ambulanza grigioverde. Ancora
La mattina dopo tutto era stato ripulito, I cadaveri tolti, il posto di blocco
ricostituito e la zona transennata. Un carroarmato presidiava davanti al cinema,
proprio dove sedevano le ragazze il giorno prima.
La guerra continuava, nelle strade polverose. Ma continuava in tutto il mondo il
conflitto fra bene e male. Esserci ancora e non esserci piu’ la ricerca di un
volto familiare cui sorridere fra le migliaia di facce di palta che lambiscono
il nostro cammino. La ricerca affannosa e guerrillera di una canzone nuova o da
riascoltare ogni volta come se fosse la prima.
Il desiderio di non stancarsi mai del volto dell’amata. Ed e’ sempre lotta,
guerra, morte subita e inattesa, se non fosse altro che noi possiamo rinascere
anche ogni giorno. Ci sono posti nel mondo dove anche tutta la grazia oscena e
divina di un rapporto diventa un bene prezioso o introvabile. Dove la vita dei
soldati vale meno di quella utile di un mezzo blindato. E questi posti sono
tanti, sempre di piu’. Dieci, cento, mille soldati, scaraventati nelle
periferie del mondo e negli anfratti
Non posso dire che per me fu un “colpo di fulmine”. Anzi. Quando poi (se non
sbaglio) la musica divenne il jingle di un detersivo, mi sentii confermata nel
mio scetticismo. Ma lui, Ivano, mi aveva colpito. Incominciai a cercarlo nelle
canzoni che scriveva per gli altri (anzi le altre) e mi “toccava” sempre. E
poi, quando ha cominciato a scrivere per sè, è stato davvero “grande
amore”. Certo, oggi - a tanti anni, donne, viaggi, libri, case, pensieri,
parole, note di distanza - è difficile
In questa canzone ho trovato quell’iniziale senso di smarrimento di quando si guarda dentro la propria vita e non
la si vuole più così come è diventata; costruita
magari proprio dalla spinta di quelli che un tempo sono stati i nostri desideri
e ora non più...pare assurdo, vero? Ma questo dolore non è statico, scuote,
smuove dentro... accende una affannosa e quasi
febbricitante necessità di andare pur
di non rimanere dove si sta sebbene anche a cambiar casa non si sa bene da dove
partire: non sempre si parte per una avventura che sia la convivvenza o il
matrimonio... a volte è per la fine di un amore, altre semplicemente per
ritrovare se stessi.. (buffa e paradossale l’idea di trovar
trovare se stessi rinchiudendoci
Ecco perchè amo questa canzone,forse la sento in modo troppo personale e mi
scuso di essere andata fuori strada ma ecco il mio modo di sentirla e di
adottarla. ed è anche il mio modo di cantarla. Una preghierina per questa
povera ragazza amici, che sta iniziando a diventare allergica ai padroni di
appartamenti che ora incontro più frequentemente degli amici, no
eh??? Oh cavolo però : ma se continuo a metterci tanto a trovarla questa
stanza del c. potrei avere un futuro come agente immobiliare!!! Non ci avevo
pensato... hai visto mai?!
Finalmente venne il caldo dell’estate e la storia andava avanti più che bene.
Un’amica, la meno scettica del gruppo, mi disse che aveva scoperto una vecchia
canzone di Fossati che mi poteva riguardare da vicino: me la
canto’ durante un rinfrescante bagno nelle acque del golfo di
Policastro.. Un’illuminazione, forse una conferma. Mi emozionai
moltissimo!
Ancora non conosco bene il sapore amaro.. i sapori li devi provare , non si
puo’ descriverli. Certamente mi tranquillizzava il fatto che la lotta tra noi
due era pari. Si puo’ soffrire in un modo, si puo’ soffrire in un altro:
avevamo lottato entrambi, non avevo lottato da sola. Che sollievo! Adesso si che
potevamo continuare....
Amore degli occhi
Ma anche adesso, che tutto è cambiato, che la vita ha preso una direzione
rosea, che ho una vita affettivamente colma,
Amore degli occhi la adotto perché se non fosse scritta con caratteri di fuoco
nella mia anima, io non sarei così, e forse se non fosse mai stata scritta o se
non l’avessi mai conosciuta e amata, difficilmente avrei fatto pace con me
stessa, e difficilmente riuscirei a scrivere queste cose. così. amore degli
occhi..
Invisibile
Quando l’ho sentita la prima volta, appena tornata
a casa con “La disciplina della terra”, ho pensato:”Questa Fossati l’ha
scritta solo per me!”. Mi sono ridimensionata subito, ma non ho smesso neanche
un momento di amarla.
Lì dentro c’è molto più che la mia vita. C’è l’ideale riferimento di
ogni mia azione e di ogni mio sentimento. C’è quello che, negli anni, ho
saputo costruire sulla mia timidezza. Il rifiuto della visibilità, in un mondo
in cui si mente per apparire. Il farsi
“piccola piccola” per voler bene dolcemente, senza grandi gesti. Con la
profondità della trasparenza, con un amore che non pretende. Il non voler
disturbare, il non voler interferire, il non voler invadere, perché il rispetto
per chi incontri ti vuole invisibile. Il passo indietro che ti viene naturale
fare quando qualcuno ti chiama alla ribalta, ti fa un complimento o ti riconosce
un successo. Il rifiuto dell’agggressività e il disagio che provi quando
invece sei costretta a mostrare i denti. L’amore per le piccole cose, fragili
e leggere. Così sottili da sembrare, ai più, invisibili. L’allegria limpida,
che nasce dai piccoli equilibri. E il pianoforte del dio silenzio: l’unico che
posso suonare io, che vorrei ma non posso, perché sono così stonata.
Ricordo esattamente quel momento: un pomeriggio di aprile di molto tempo fa, io
e mia cugina Francesca davanti una tazza di tè, io parlavo ripetendo sempre le
stesse frasi come succede quando si cerca di spiegare qualcosa che non si è
capito mentre lei ascoltava con occhi buoni, attenta e paziente. A un certo
punto, forse esausta, interrompe il mio flusso di
Per prima cosa restai impressionata da quest’immagine delle vene spezzate e
del sangue che si mescola al sudore, un’immagine molto forte che rende però
in modo autentico la fatica e la stanchezza dell’idea stessa di costruzione.
Quel che peggio è che è tutto vero.. In queste parole i miei sensi di colpa
che tentavo senza successo di spiegare, hanno trovato accoglienza e comprensione
ed io mi sono sentita un po’ meno strana e cattiva di quanto avessi creduto.
Anche vivendo un grande sentimento, una volta finito tutto ci si può sentire
tornare alla vita anzi più forti e avvolgenti sono le emozioni più è forte il
senso di liberazione. A dire la verità adesso non ascolto spesso questa canzone
ma ho deciso di adottarla perché è legata a un momento tanto tenero da
emozionarmi ancora. E poi questa storia contiene anche una morale! “Bisogna
sempre stare ad ascoltare chi ha più esperienza!”
Mio fratello che guardi il mondo
Sbagliata o no, sono così. Nel cuore degli altri la strada si è tracciata.
Perciò, ora, la voglio fare tutta questa strada..
Questi posti davanti al mare
Quanto tempo può impiegare, e quali tortuose strade deve seguire, a volte, una
canzone per entrarti nel sangue?
Io e F. arraffammo con mani rapaci “La pianta del tè” immediatamente al suo
apparire sugli scaffali del nostro dischivendolo di allora, e ricordo che fu il
primo album di Ivano che comprammo direttamente in CD; fummo subito conquistati
da perle quali la stessa “La pianta del tè” ma anche e soprattutto da
volpi, terre dove andare, uomini
E’ un’esempio meraviglioso di canzone immaginifica, dove le immagini, o le
sensazioni, non sono solo descritte dalle parole, ma sono nei suoni stessi, e
per questo ci coinvolgono senza scampo. Quando ascoltate “Questi posti davanti
al mare”, dove siete? A parte il luogo dove incidentalmente vi trovate, che vi
auguro essere un qualcosa in movimento, ma non siete, in realtà,
bordo di “quel” treno? Non ne sentite forse lo sferragliare (la
chitarra ritmica), non sentite il ritmico sussultare delle giunture dei binari
(la batteria), non sentite lo sbuffo degli stantuffi (le tastiere, e già, è un
treno a vapore, anche quello...), non sentite il fischio che ogni tanto viene a
scuotervi dai vostri pensieri (la chitarra elettrica)? Ragazzi, quella canzone
E’ un treno a vapore che viaggia verso il mare, e il testo ci racconta
qualcosa che già è in parte insito nella
Ed è un viaggio liberatorio, che segue un periodo di duro lavoro... Mi rimanda
col pensiero a “Saluteremo il signor padrone”, dove ritroviamo non a caso un
treno sul quale salire perché ci porti lontano dalla fatica, solo che in quella
canzone la destinazione era la propria casa, in questa è il mare, un luogo
quasi simbolico, l’idea stessa della spensieratezza a lungo agognata. Si
respira una calda aria estiva, mentre questo treno viaggia verso il mare, e la
combustione (commistione sarebbe poco!) fra musica e parole coinvolge e travolge
misteriosamente altri sensi, perché io non solo sento il rumore del treno, ma
vedo la verde pianura scorrermi sotto gli occhi, sento il caldo del sole sulla
pelle, e sento persino gli odori dell’estate, erba falciata, fiori... fino
all’odore stesso del mare, che del resto, si sa, si sente fin da Alessandria e
che mi aspetto di veder comparire all’improvviso dietro una curva, e sì che
ci vivo davanti, non mi dovrebbe fare un grande
effetto.
Ecco, anche questo è strano: il punto di forza della canzone penso sia la
musica, penso che sia tecnicamente perfetta, eppure “Questi posti davanti al
mare” è diventata una di quelle canzoni (poche) che non riesco a cantare,
perché quando arrivo a quel punto, ed appare “dietro un curva,
improvvisamente, il mare...” mi viene un groppo in gola e mi si strozza la
La madonna nera
La musica che gira intorno
quando sento questa canzone è come se mi guardassi allo specchio; in un unico
istante ripenso a tutti i momenti in cui io e lei siamo stati insieme, come due
“naviganti”; la nostalgia per i momenti passati si fonde con la
consapevolezza dell’età adulta, con la pacata serenità di chi ne ha viste
tante, ben sapendo che tante deve ancora vederne, e preferisce dire: tu sei più
bella di ieri vita, che a tutti ci fai battere il cuore.. è per questo che mi
è piaciuto così tanto il finale western di questo tour, dove fossati imbraccia
la chitarra, si prende in giro e si fa prendere in giro dai suoi musicisti, dal
pubblico; in quei momenti ha mani e faccia di chi non fa per niente sul serio,
si diverte insieme al suo pubblico; si vede un uomo di una certa età che sa
stare magnificamente nella sua pelle di ieri, di oggi e di domani; che si
rimette sempre in discussione; che ha capito che è questo il senso della vita;
un uomo consapevole, che proprio per aver osservato questa “disciplina” che
si è dato con questa canzone venti anni fa, oggi può riprendere in mano la
chitarra e ricominciare da capo, con il sorriso sulle labbra di una vita vissuta
intensamente e l’entusiasmo di sempre di fronte al domani, ai tanti altri
aerei da prendere, numeri da cambiare e pensieri da scordare; come sempre così
poco allineato; come sempre, “per niente facile”.
L’orologio americano
Secondo me la vera bellezza contiene inevitabilmente anche una dose di tristezza
e questo vale sia per le cose inanimate sia per le persone. Mi sembra che tutto
Macramé sia pervaso da questo particolare tipo di bellezza, una bellezza triste
talmente penetrante però che una volta incontrata, non vuoi più dimenticare.
La canzone che adotto è “L’orologio americano” perché rappresenta in
maniera esemplare il genere di bellezza cui mi riferisco e perché parla del
tempo con il quale ho da sempre un rapporto molto intenso.
Di questo pezzo mi ha colpito questo ripensare malinconico al
passato,sottolineato dall’andamento musicale, questo sguardo rivolto
all’indietro nelle sforzo impossibile di rincorrere un momento perduto poiché
il momento sfugge sempre e la durata degli eventi cambia secondo chi la
percepisce. E’ quindi diverso il tempo scandito da un “orologio
elementare” per cui si può ammettere senza difficoltà che “l’amore dura
quel che deve durare”dal tempo individuale di chi “ha caro quel che è suo e
la domanda e la risposta” e per questo vive “come dietro una porta solo un pò
discosta”. [Questa frase mi
”Ma è così che la gente vive / è questo che la gente fa / è così che ci
insegue / per un morso di immortalità”. Questa parte mi fa venire in mente
una frase di Virginia Woolf, probabilmente la mia scrittrice preferita,ve la
riporto: “La vita non è che una processione di ombre e Dio sa com’è che
queste ombre le abbracciamo con tanto fervore e le vediamo allontanarsi da noi
con tanta angoscia.” Quello che la gente fa dunque, per ottenere un morso di
immortalità è inseguirsi cercando di afferrare alcune di quelle ombre che
sembrano destinate a sfuggirci sempre, sottraendosi al nostro abbraccio. Perché?
Forse proprio perché la ricerca di un qualcosa d’assoluto(un morso di
immortalità) negli altri è destinata al fallimento e dato quest’esito così
doloroso e difficile da accettare, allontanarsi è poi inevitabile.
Il tempo non si afferra tramite il meccanismo degli orologi ma ogni volta in cui
la nostra personale percezione riconosce e separa una tra le tante ombre di
passaggio, una che ha qualcosa che permane nel ricordo come “labbra impigliate
alla bocca” o uno “sguardo lampeggiante ad ore”. Sono istanti irreali,
sono frammenti di tempo di cui ci ricorderemo senz’altro
Una notte in Italia
adesso la donna è in riva al lago, e pensa che anche questo è un parcheggio,
anche questa è una prima volta, e si chiede cosa accadrà questa volta. i
brividi a luglio. le luci sfiocano via, come arrugginite, sotto le lacrime, in
questo tempo sbandato, in una notte che corre. i suoni rivelano di più di
quanto dicano. improvvisamente, la donna ha una fitta al ventre, proprio là,
dove inizia la vita, dove mesi prima si è spenta una vita. il futuro che
viene.. a darci fiato. e la donna capisce. il futuro che viene. nel suo ventre
dolente, in un parcheggio in cima al mondo, in una notte in un angolo d’italia.
chissà se ha fiato.
(non ne avrà abbastanza. ma la donna vivrà, amerà, proverà ancora, imprecisa
e inesatta e imperfetta. finchè ce la farà, a prendere fra le braccia
un’esistenza tremante...ma questa è un’altra canzone).
Lindbergh
lindbergh sale nel cielo, la donna scende sotto terra. ma è come se volasse
anche lei,perchè sa che quella discesa vale più di mille voli. difficile non
è partire contro il vento, ma casomai senza un saluto...
la aspetta un pesce con le ali, volato via dal mare per annusare le stelle. lei
sa che scende, e, quando ritornerà in superficie, si perderà trovandosi. ha in
mano un sacchetto con due brioches al cioccolato. ne sente l’aroma. ne
pregusta il sapore. e la musica la fa volare. le luci al neon diventano stelle.
i visi dei passeggeri sono scie di vite.
e la vuole fare tutta quella strada.. fino al punto esatto in cui si spegne.
pensa. vive. ha i brividi. ma non sono i meno quattro di milano.
I treni a vapore
Proverò ad imbalsamarla, questa canzone, con l’aiuto di altre immagini, ad
esempio con quella di un passeggero, che, non a caso, mi somiglia, sciarpa e
cappello da pescatore, bavero alzato, spalmato nella sala d’attesa di una
stazione color nostalgia. Appena sceso da un treno, di cui ricorda vagamente la
stazione di partenza, e dimenticato quella di arrivo ma di cui, prova ora a
ricordare tutte le impressioni del viaggio. Di questo passeggero, intento ora,
nel vago barlume del mattino, a girare lo zucchero del suo caffelatte mentre
pensa ai metri ed alla nebbia che deve calpestare per raggiungere al volo il
prossimo treno, senza aver fatto ancora il biglietto, potremmo chiederci cosa
cavolo centra con le immagini di quella canzone. Gli do una mano, forse perché
è di famiglia.
Di quella canzone mi lascio trasportare dal ritmo del suo incedere sempre più
deciso, sul quale ricamare le impressioni del mio vivere e sognare, cadere e
risalire. Ma di qualsiasi emozione e pensiero coloriamo il nostro viaggio,
sempre e comunque, di stazione in stazione, di porta in porta è quello
sferragliare continuo, deciso, singhiozzante, sbuffante sui binari dei nostri
tentativi. Anche di notte, nelle lusinghe di un sogno, nello stringere i pugni
per sentirlo più vivo, il rumore
Panama e
C’e’ tempo
Discanto – l’album
Si tratta invero di un’adozione un po’ particolare perche’, piu’
che una canzone, io vorrei adottare un intero cd o, per i piu’ romantici, un
album. Conoscevo gia’ allora, come tutti, Fossati. Per “come tutti”
intendo dire che conoscevo “La mia banda suona il Rock”, “Jesahel” e
quelle altre due o tre cose che, quando oggi il pubblico le invoca, Ivano si
gira dall’altra parte.
Tre anni prima, nel 1987, grazie ad un caro amico, avevo conosciuto Fabrizio De
Andre’ che, anche in questo caso, gia’ conoscevo per le sue cose piu’
famose. In un viaggio da Fregene a Roma, nella sua scalcagnatissima Uno rossa,
le parole di “Non al denaro, non all’amore ne’ al cielo” avevano
totalmente cambiato il mio rapporto con la musica, facendomi privilegiare
decisamente i testi e -quindi, quasi inevitabilmente-la musica italiana.
Fabrizio e’ stato, e’ e restera’ sempre la mia piu’ grande passione,
musicale e non solo.
Ma tre anni piu’ tardi avrei avuto comunque un’altra fortissima
infatuazione, stavolta per Ivano. E questo avvenne sempre grazie ad un mio
grande amico. Mi piace constatare che i momenti piu’ grandi di crescita
personale (che poi coincidono inevitabilmente con la crescita nei gusti
musicali) sono un regalo dei miei Amici piu’ cari, ai quali devo tutto, forse
anche cose piu’ grandi di queste.
Oggi, purtroppo, ho perso un po’ di vista il mio amico Fabrizio, che e’
stato totalmente assorbito dal lavoro e sbattuto in giro per il mondo dalla
Pirelli (e quando dico mondo intendo dalla Malesia al sudamerica!).
Ma in questi quattro anni, ho continuato a pensarlo, quasi ogni giorno. Pero’,
da quando sono iscritto alla ML, sono contento di pensare a lui ogni giorno,
ogni giorno. Perche’ lui mi ha fatto conoscere per primo il vero Fossati.
Dicevo, era il 1990 ed in quel periodo eravamo felici di riunirci nella sua
piccola mansarda, per giocare, stare insieme e sentire musica. Un giorno, la
solita situazione: gli amici, le ragazze, sguardi affettuosi e complici. Poi, ad
un tratto:”E’ terra, compagni, e’ terra”... PAF! Un altro colpo come lo
era stato tre anni prima “Un chimico” di De Andre’. Il mio amico
Fabrizio-conoscendomi-si volta e mi chiede “Ti piace?”. Io, come sempre
faccio quando qualcosa mi piace troppo, annuisco a bocca aperta, incapace di
dire anche solo “Si”.
Il resto del pomeriggio fu interamente da me interamente dedicato all’ascolto
del disco, trascurando forse un po’ amici ai quali tenevo parecchio e ragazze
che indubbiamente mi piacevano tanto, avendo orecchie ed occhi solo per Fossati
ed il mio amico Fabrizio. Che ad un certo punto disse:”Senti
questa:Piumetta/che stasera conti le ore/Piumetta/che domani ti fanno
sposare...”. Era il suo pezzo preferito. Io, invece, tornai a casa con
“Lusitania” e “Unica Rosa” nelle orecchie e nella testa. E il giorno
dopo, mi feci registrare “Discanto”, non per non comprarlo, ma perche’
all’epoca sentivo la musica quasi esclusivamente in macchina o nel walkman, e
quindi su cassetta.
La disciplina della terra – l’album
Fu Paolo Fresu a colpirmi per conto di Ivano, quasi un decennio fa, con quella
sua versione serica di Passalento ascoltata nella casa sulla spiaggia, col mare
che frangeva pochi metri sotto le finestre. Ma fu solo questione di tempo… tre
anni più tardi fui letteralmente folgorata da J’adore Venise cantata dal vivo
al Ponchielli, una sera d’inverno, mentre me ne stavo con gli occhiali al
soffitto ad innamorarmi del colore delle cose. E quella sera quando, rientrando
a casa, stavo stracciando il cellophane che avviluppava quel cd in bianco e nero
(e giallo zabaione), già sentivo quella piccola scossa dall’andamento di moto
ondoso in aumento che conobbi in quella lontana sera d’inverno.
Era il momento, il momento giusto e perfetto, non so come spiegare, era venuto
il momento di sentire quelle musiche nuove con quelle poesie che mi aspettavo di
sentire, perché mi stupissero e mi lasciassero inerme e serena.
L’Artista è riconoscibile come tale quando parla la nostra lingua, ogni
singola lingua parlata da ciascuno di noi, non il contrario. Fin dal primo
ascolto il vomito preciso e suadente di quelle parole, di quelle verità sognate
è certo, intuibile, mi avviluppa dal primo attacco di rullante, dal primo rigo
suonato con la mano sinistra, dalla prima strofa.., infettivo, perché anch’io
da tempo mi sento colpevole di aver nutrito l’amore e altre deviazioni, come
la malinconia, come la nostalgia.. Mentre il silenzio faceva
la sua prima, schiva comparsa. E calore e freddo, freddo di ferro e di
solitudini e domande e
Basta una luce, anche piccina, basta a chi sa farla bastare, basta a ricordare
le carezze dimenticate con parole-femmina che ricevono e attendono miracoli. E
il silenzio, ancora silenzio, che stavolta si nega nelle bocche libere
Che tempo è questo che strada e che ora del giorno è E quali parole servono oggi a chi non sa scrivere che lettere
d’amore. E, infine, dopo lungo navigare e una moltitudine di assi sfilati
dalla manica, di sentimenti agghindati, di cappotti
che si allontanano nel buio e di ultimi baci, di mali da lenire
carezzando e di disegni supremi, infine, la terra all’orizzonte tenue di nuovo
appare, componendosi nel silenzio di un finale quale ringraziamento al tempo che
consola e guarisce con il suo moto perpetuo impossibile, per fortuna, da
gestire.
U tempu u passa e a morte a vèn, beati quelli c’han faetu du ben.
Mi guardo ancora nello specchio.. e vi saluto brava gente.
Lindbergh,
una canzone che nel disco omonimo e’ suonata in solitudine da Ivano. Un testo,
una canzone possono essere interpretate in vario modo, possono essere capite in
vario modo, e possono dare a noi emozioni e pensieri diversi, a seconda del
periodo in cui l’ascoltiamo. Io ho conosciuto la musica di Ivano nel 1995 (lo
so che e’ da poco) con una canzone presente in una raccolta del Premio Tenco
“confessioni di Alonso Chisciano” canzone di cui mi sono innamorato
subito, era diversa, bellissima e ancora oggi mi da’ i brividi. Poi ho
conosciuto tutto il resto, album nuovi e vecchi.
Ho pensato di adottare LINDBERGH perche’ e la canzone che ho sentito piu
vicino a me per motivi sia musicali sia EXTRAMUSICALI GONFIANDO TALE CANZONE E
RIEMPENDOLA DI SIGNIFICATI SINO A FARLA SCOPPIARE. Diceva Adorno che la Musica
E’ UN FATTO SOCIALE TOTALE. Il viaggio nelle canzoni e quasi sempre usato come
metafora della vita, quindi l’arrivo e’ sempre uno: la morte. Il problema
sta nel viaggio diverso che si fa, oppure nella diversa fine del viaggio, a
volte per motivi naturali, accidentali o volontari.
Non sono che il contabile
dell’ombra di me stesso
Qui mi affido alle parole di Fossati:< “lui sapeva di essere piccolo,
solo il contabile del’ombra di se stesso”>, siamo tutti piccoli contabili
di noi stessi, contabili invisibili.”
se mi vedete qui a volare
e’ che so staccarmi da terra
e alzarmi in volo
come voialtri stare su un piede solo
”Pur essendo solo piccoli contabili di noi stessi, siamo tutti diversi,
per me staccarmi da terra e alzarmi in volo significa morire, con volonta’ e
scelta razionale,( tant’e che vengono usate parole che rafforzano la
volonta’, staccarmi e alzarmi ) come per voialtri e facile stare su un piede
solo.”
difficile non e partire contro il vento
ma casomai senza un saluto
”Difficile sono le avversita’ della vita, e la vita stessa ma, ancora
piu’ difficile e partire (cioe’ morire) senza un saluto. Quando ci si
suicida l’ultimo scherzo della vita e che non possiamo salutare nessuno (per
ovvi motivi). Questo tema della morte e della solitudine e presente nei
“sepolcri” Foscoliani “sol chi non lascia eredita d’affetti poca gioia
ha dell’urna”.
non sono che l’anima di un pesce
con le ali
volato via dal mare
per annusare le stelle
”Un pesce con le ali, uno che e nato in un posto sbagliato (o forse e
“sbagliato lui”), a volte ci si ritrova a vivere come dei pesci con le ali
ovvero in un posto che non ci appartiene, oppure che non apparteniamo noi a lui,
il divorzio tra noi e la vita di cui parlava Camus, e per cercare il nostro
posto (forse inesistente) voliamo via dal mare (che non ci appartriene) e
andiamo ad annusare le stelle (ce ne andiamo senza un saluto, in cielo per chi
crede, per chi non crede diventiamo polvere o metaforicamente STELLE).”
difficile non e’ nuotare contro la corrente
ma salire nel cielo
e non trovarci niente
”Qui viene nuovamente esposto il concetto delle avversita’ della vita e
del fatto che quando stiamo per morire non abbiamo certezze di cosa troviamo
forse niente, si spera la tranquillita’).”
dal mio piccolo aereo
di stelle io ne vedo
seguo i loro segnali
e mostro le mie insegne
”Nella mia vita di stelle ne ho viste tante (qui il significato di stelle
cambia, stella puo essere un’idea, una strada, una possibilita’) seguo
quella che mi sembra piu’ giusta in base al vissuto.”
la voglio fare tutta questa strada
fino al punto esatto
in cui si spegne
la voglio fare tutta questa strada
fino al punto esatto
in cui si spegne
”Qui ritorna il concetto di morte, di viverla, e di vivere la breve vita
fino al punto esatto in cui si spegne, cercare di morire, arrivando fino
al momento finale lucidi, coscienti e razionali.”
Probabilmente anzi sicuramente oggi questa frase e questa canzone le
interpreterei in maniera diversa ma, questa canzone l’ho ascoltata per tanto
tempo dandogli questo significato. Forse come canzone mi apparteneva piu’
allora che non adesso, quindi ho ritenuto giusto lasciare la vecchia
interpretazione.